Troppi giornalisti bersaglio, denuncia Reporter senza frontiere...


Giornalisti uccisi. Nei primi nove mesi del 2018 sono stati cinquantasette i giornalisti caduti mentre lavoravano, praticamente un numero che ha già superato quelli morti nel 2017. Lo ha messo in evidenza da Reporters senza Frontiere, l’organizzazione che si occupa di monitorare l’attività giornalistica nel mondo ha infatti lanciato l’ennesima denuncia.


di Alessandro Fioroni
Giornalisti uccisi
Senza voler parlare del giornalista Jamal Khashoggi, fatto scomparire ad Istanbul e di cui trattiamo ampiamente in altre parti del giornale.
Ian, colpito dai proiettili nella sua abitazione nella Repubblica Slovacca, Daphne, esplosa nella sua auto fatta bomba a Malta, Victoria, il corpo straziato in un parco in Bulgaria. Fatti di cronaca con un unico denominatore, le vittime erano giornalisti. Ognuno di loro faceva il suo lavoro investigando su materie scottanti, traffici illeciti, mafia, potere corrotto. Hanno perso la vita:  il 16 ottobre 2017 Daphne Caruana Galizia a Malta, Ian Kuciak il 26 febbraio di quest’anno in Slovacchia, Victoria Marinova solo qualche giorno fa in Bulgaria.
Cause, moventi e modalità della morte diverse tra loro eppure accomunate dal fatto che sempre più spesso il “mestiere”, come ancora viene chiamato dai vecchi cronisti, sta diventando pericoloso. Forse lo è sempre stato, ma fare informazione nonn servile, somiglia ormai ad un corso di sopravvivenza. Così come messo in evidenza da Reporters senza Frontiere, l’organizzazione che si occupa di monitorare l’attività giornalistica nel mondo, che ha lanciato l’ennesima denuncia.

La denuncia di Reporters senza Frontiere
Nei primi nove mesi del 2018 sono stati cinquantasette i giornalisti uccisi per ragioni legate al loro lavoro, un numero che ha già superato quelli morti nel 2017. Sembrava si andasse ad una diminuzione delle vittime (55  professionisti senza contare fixer o freelance non registrati) per la prima volta in 14 anni, poi l’impennata. Si muore soprattutto e ovviamente nelle zone di guerra, troppi i conflitti sul pianeta, aumentato a dismisura il pericolo.
La situazione è tale che  RsF chiede la nomina di un rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite che si occupi proprio della protezione degli operatori dell’informazione. Nel maggio scorso, in occasione della 25ma giornata mondiale per la libertà di stampa indetta dalle Nazioni Unite, il segretario generale Onu Antonio Guterres aveva ricordato il giornalismo come attività fondamentale «per costruire società trasparenti e democratiche e per fare in modo che coloro che sono al potere siano ritenuti responsabili».

Bilancio pesante
Purtroppo le cifre stanno a dimostrare come il raggiungimento di questo obiettivo si ben lontano. Tra il 2012 e il 2016 sono stati 530 i giornalisti uccisi. Molti erano stranieri ucciso in paesi non loro, ma molto spesso, ad essere dimenticati, sono i reporter locali,  proprio gli attori del cambiamento auspicato da Guterres.
L’Afghanistan si conferma un luogo dove fare informazione è pericolosissimo, l’esempio più eclatante il 30 maggio scorso quando un kamikaze dell’Isis si è fatto esplodere a Kabul nei pressi del quartier generale della Nato: una strage con  29 morti, tra questi almeno 8 erano fotoreporter accorsi sul posto per documentare un’altra esplosione avvenuta poco prima.

Dove si muore
Oltre all’Afghanistan, lo Yemen (5 morti) è stato letale. In questo paese quando i giornalisti non muoiono sotto le bombe, periscono nelle prigioni, vittime di maltrattamenti. Come nel caso di Anwar al Rakan, tenuto prigioniero dagli Houthi per quasi un anno, rilasciato ma poi deceduto. Gli Houthi avrebbero almeno dieci giornalisti nelle loro prigioni.
Pakistan, Palestina e Siria contano due giornalisti professionisti uccisi dall’inizio dell’anno. Il numero di reporter uccisi in Siria è certamente diminuito rispetto allo scorso anno quando ci sono state 9 vittime. Una tendenza al ribasso che non deve però oscurare i rischi per blogger o citizen journalist che si trovano nel mezzo della guerra. Sei di loro e un cineoperatore sono morti dal gennaio 2018.
Anche in Africa, situazione pessima. Due giornalisti assassinati in Somalia durante un controllo di polizia. Nella Repubblica Centrafricana, tre giornalisti russi uccisi a luglio. Orhan Jemal, Kirill Radchenko e Alexander Rasstorgouïev sono stati assassinati da un gruppo di uomini armati non identificati mentre indagavano sulla presenza di mercenari appartenenti a Wagner, una compagnia militare privata russa conosciuta anche per le sue attività in Siria.
Ma fare il reporter o semplicemente scrivere per un giornale è pericolosissimo anche in Messico (11 morti nel 2017), in Iraq e Filippine e i molti altri paesi, compresa quell’Europa che, tra gli elementi base della sua democrazia predicata, dovrebbe comprendere  la libertà d’informazione ai primi posti...


(RemoContro)

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