La storia siamo noi.... Hezbollah - Il partito di Dio






A Beirut infuriano nuovamente gli scontri tra le forze sunnite filogovernative antisiriane e le milizie sciite di Hezbollah, che hanno oscurato l'emittente "Future News" di Hariri, leader della maggioranza. Hezbollah nasce nel 1982 con tre obiettivi: migliorare le condizioni della popolazione sciita, costituire uno Stato islamico, combattere Israele. In arabo significa Partito di Dio, ed è stato fondato per opporre resistenza all'invasione israeliana del Libano, ma Hezbollah è molte cose: ente assistenziale, holding finanziaria, un esercito. L'inchiesta di Amedeo Ricucci ci porta in questa realtà multiforme.

APPROFONDIMENTO

Il partito di Dio sciita («Hezbollah» o «Hizballah») nacque nel 1982 dopo l'invasione israeliana, conclusasi nel 2000. in coincidenza con la seconda e più distruttiva invasione del Libano (la cosiddetta 'operazione pace in Galilea'; la prima invasione, di natura minore, ebbe luogo nel 1978).
Quando si parla di Hezbollah, bisogna pensare non solo ad un partito politico, ma ad un movimento religioso sciita nato con il preciso scopo di instaurare uno Stato islamico in Libano, su modello iraniano.
Il "partito di Dio" è fortemente radicato soprattutto nel sud di Beirut ed è sostenuto finanziariamente e politicamente dall'Iran e dalla Siria. Israele continua a combatterlo sostenendo che mette in pericolo la sua sicurezza ma, secondo il parere di molti, lo fa per colpire indirettamente gli Stati che lo appoggiano.
Gli Hezbollah hanno sempre rifiutato il termine "gruppo terrorista", volendo definirsi piuttosto come resistenza all'occupazione israeliana.

La nascita di Hezbollah è stata determinata dal fatto che il partito era portavoce delle rivendicazioni politiche, sociali e economiche della comunità sciita libanese, tradizionalmente più povera delle altre. Questa comunità è stata per secoli esclusa dal potere e schiacciata dall'egemonia delle due principali confessioni religiose libanesi: la cristiano-maronita e la musulmana sunnita. Ma Hezbollah non avrebbe mai potuto svilupparsi come tale se non avesse fruito di quello che appare come uno dei fenomeni più rilevanti della storia dell'Islam del Novecento: la politicizzazione dello sciismo.
La dottrina politica sciita tradizionale (o almeno quella imamita o duodecimana professata in Libano e in Iran) afferma che, in assenza dell'imam, ogni formazione politica è illegittima, per cui i fedeli devono mantenere una posizione passiva e silenziosa, rinunciando a rivendicare il potere.

Chi sono i Libanesi'
La popolazione, benché originata da un'unica etnia, è il prodotto di varie contaminazioni subite durante il corso dei secoli. I gruppi si distinguono soprattutto per il loro credo religioso e si dividono in cattolici maroniti,sunniti, sciiti, drusi e alawiti. La popolazione cristiana si è sviluppata nel nord del Paese; quella musulmana dalla periferia di Beirut sud, al confine israeliano.
Il Libano, infatti, è sempre stato diviso politicamente e socialmente: le istituzioni di governo e parlamentari rispettano il mosaico religioso ma ciclicamente vengono messe in crisi da ribellioni, reazioni e sommovimenti interni, sponsorizzati, nella maggior parte dei casi, da Paesi vicini come la Siria, la Giordania e talvolta da Israele.

Con gli incrementi della popolazione derivanti dall'afflusso di profughi dall'Iraq dall'Iran e di un numero crescente di lavoratori dalla Siria, dagli anni '80 si assiste ad una crescita dell'importanza del gruppo sciita. Questo è divenuto, negli anni, la reale maggioranza politico-religiosa nel Paese. La parte islamica della popolazione libanese per lo scarso approfondimento culturale, la limitata capacità socio-economica e uno status generale di indigenza e povertà, rappresenta invece la parte negletta. Su un simile terreno hanno operato gli uomini di Hezbollah.

La popolazione sciita, nel 1982, aveva visto quasi con favore l'invasione israeliana del Libano poiché toglieva ai palestinesi (sunniti) il potere e le posizioni di dominio che si erano arrogati nel territorio dal 1978 in poi. Gli sciiti hanno sviluppato posizioni di potere 'da Stato nello Stato' e impiantato grandi campi di profughi diventati centri religiosi, sociali, economici e politici dal fiume Litani alla periferia sud di Beirut. Nel giro di pochi mesi però, Israele, a causa della sua posizione a favore della Falange e dei gruppi cristiano-maroniti, compromise la neutralità dei gruppi sciiti che si allearono con i drusi per contrastare e rimandare gli invasori nei territori di provenienza, chiedendo l'aiuto della Siria.

Il governo del Libano non ha mai operato socialmente e culturalmente a favore delle popolazioni sciite. Per questo motivo gli uomini di Hezbollah hanno iniziato ad agire nel vuoto culturale, sociale, di assistenza sanitaria e previdenziale lasciato dal governo.

Questo impegno assicura a Hezbollah una forte lealtà da parte degli sciiti locali, fedeltà e supporto a chi li aiuta e fa loro sentire di appartenere con orgoglio a un movimento in grado di opporsi agli Israeliani e, ovviamente, agli odiati Americani. Gli uomini di Hezbollah sono ovunque e si mescolano in qualsiasi classe sociale e professionale: dire che Hezbollah è il popolo e il popolo è Hezbollah, dimostra la fusione tra il movimento islamico fondamentalista in armi e gli abitanti dell'area, in particolare modo da Tiro al confine israeliano. La famigerata forma di 'Stato nello Stato', che Hezbollah ha creato e riveste oggi nel sud del Libano, si manifesta nella sua capacità di provvedere in maniera efficace all'assistenza sanitaria e previdenziale della popolazione locale.

La 'guerra dei 34 giorni'
Il 12 luglio 2006 un raid paramilitare di Hezbollah viene lanciato vicino al confine di Israele: le conseguenze immediate di quell'evento sono state la cattura di due soldati israeliani e la morte di altri tre. L'attacco è stato simile ad altri avvenuti lungo il confine incandescente tra i due Paesi, eppure le devastanti risposte dell'esercito israeliano sono state diverse da quelle passate: inizia così una guerra che durerà 34 giorni.

Meno di 24 ore dopo la cattura dei soldati israeliani, l'esercito di Israele bombarda l'aeroporto internazionale di Beirut Rafik Hariri, imponendo un blocco aero e navale punitivo e dando il via a massicci bombardamenti aerei sulla maggior parte del Paese. Quando il cessate il fuoco negoziato dall'Onu è diventato effettivo, la maggior parte delle infrastrutture civili erano oramai in pezzi. Infatti, il 14 agosto, al momento dell'ordine, erano già stati assassinati 1.200 civili libanesi e altri 4.500 feriti, ed erano stati uccisi circa 250 miliziani di Hezbollah. Un terzo dei civili libanesi ammazzati erano bambini sotto i 13 anni. Le perdite di Israele sono state di 43 civili con altri 1.350 feriti, mentre l'esercito israeliano ha avuto 119 soldati uccisi e oltre 400 feriti.

Più di un milione di Libanesi e circa 300.000 Israeliani sono stati sfollati dalle loro abitazioni. Della vita normale oggi non c'è più traccia in tutto il Libano e nell'Israele del nord. La guerra si è prolungata con l'appoggio diplomatico garantito a Israele da Stati Uniti e Gran Bretagna. La risoluzione ONU '1701? è stata approvata l'11 agosto scorso: veniva chiesto a Israele il ritiro dal Libano, a Hezbollah il disarmo e l'invio di una forza ONU più efficace nel Libano meridionale. Tuttavia, Hezbollah non si è disarmato.

Il Primo Ministro libanese Fouad Siniora, capo di un governo spaccato e assolutamente impotente, è oggi nel mezzo di una crisi, dato che Hezbollah ha ritirato i suoi ministri, seguendo gli appelli per un governo di 'unità? libero dalle influenze occidentali. La recente guerra ha inasprito i fronti di questa battaglia politica. Molti sciiti sospettano che il gruppo nato dietro l'ex Primo ministro assassinato Hariri, voglia limitare il peso politico della loro comunità. I sunniti libanesi sperano nello stazionamento dell'esercito nazionale e al rafforzamento delle truppe ONU nel sud Libano: solo così sarebbe possibile disarmare Hezbollah.
Gli sciiti rappresentano circa il 40% della popolazione libanese (ma statistiche ufficiali non ne esistono) e sono una parte significativa dei quadri inferiori e medi delle forze armate. In caso di impiego dell'esercito contro Hezbollah, i soldati sciiti si troverebbero in piena crisi di coscienza. Una lacerazione che potrebbe condurre alla spaccatura delle forze armate militari e dello stesso Libano.

I 34 giorni di conflitto in Libano non hanno avuto solo un elevato costo umano (con circa 1.300 morti e oltre 1 milione di profughi) ma anche un costo economico e ambientale di enormi dimensioni. Infatti l'economia e l'ecologia della regione sono state sconvolte e occorreranno molti anni per rimediare.

Fadl Shalak, capo del Consiglio di Stato libanese per lo sviluppo e la ricostruzione, stima che ci vorranno almeno 2 miliardi di dollari per ricostruire gli edifici e 1,5 miliardi per le infrastrutture (strade, ponti, impianti energetici), senza considerare i danni indiretti a commercio, industria e turismo.

Il presidente libanese Emile Lahud afferma che Israele è stato denunciato dal Governo Libanese per l'uso di armi illegali quali le bombe al fosforo e all'uranio e che la responsabilità dell'omicidio di Hariri (che tanto aveva commosso l'opinione pubblica internazionale) è da attribuirsi sicuramente a Israele che, secondo le sue parole, 'invidia i nostri successi'.
Infatti il Libano negli ultimi tempi si era ricostruito su basi di forte concordia religiosa e politica, profilandosi così come temibile concorrente politico, economico e militare per gli Israeliani. Questo dimostra come il Partito di Dio ( di maggioranza mussulmana, ma che raccoglie un ampia rappresentanza di cristiani) sia rappresentativo di tutto il Libano, soprattutto dopo l'accordo stipulato nel febbraio scorso, fra il Generale cristiano MichaelAoun ed il capo Hezbollah Hassan Nasrallah.

La Fondazione dei Martiri
La storia di Hezbollah, il suo successo politico ma anche la capacità di mobilitazione militare, che nel 2000 portò al ritiro di Israele dal territorio palestinese, si spiegano con una strategia di penetrazione sociale che sin dall'inizio ha puntato a impegnare gli sciiti in una 'guerra santa' prolungata e costosa. In cambio gli Hezbollah si sono occupati della loro comunità, il 40% della popolazione, 1,2 milioni di persone. L'anello più importante nella catena di società, enti e gruppi che fanno capo a Hezbollah resta, infatti, la Fondazione dei Martiri oShahid. Altro esempio è La Fondazione Jihad al-Bina, lo Sforzo della Costruzione, che si occupa dei quartieri dei diseredati e della distribuzione di acqua potabile a 500mila abitanti della periferia.
La protezione dei 'diseredati' è affidata al Comitato Khomeini che assiste più di centomila persone e finanzia più di duemila borse di studio l'anno.
Guardando più in particolare alla Fondazione dei Martiri: questa, fondata da Khomeini, oggi è guidata daMohammad-Hosein Rahimiyan, ma si può affermare che Khamene'i ha di fatto il controllo diretto della Fondazione dei Martiri proprio attraverso Rahimiyan.

Come sosteneva Khomeini: «Se il popolo non abbandona la Rivoluzione ma la difende e la vive giorno per giorno con il lavoro e il sacrificio, se la figura del martire è l'ideale supremo della nazione, il governo islamico non abbandona i suoi figli migliori e i loro cari a se stessi».
La Fondazione dei Martiri aiuta moralmente e materialmente quelle famiglie rimaste prive di sostentamento per la scomparsa dei combattenti o per l'invalidità permanente che fa di loro 'martiri viventi'. Questi quindi possono esser certi che la loro morte non ridurrà in miseria genitori, mogli, figli. Oggi la Fondazione conta 350 uffici e 30.000 dipendenti. Possiede 68 industrie, 75 agenzie commerciali, 21 compagnie edilizie, 17 imprese agricole, terreni e beni immobili.

Nonostante le fondazioni vengano qualificate come Enti senza scopo di lucro, sono tutte coinvolte innumerosissime attività di natura commerciale. Dalle Fondazioni dipendono i sussidi distribuiti ai diseredati, alle famiglie delle vittime della guerra Iran-Iraq: esse hanno la funzione di uffici di collocamento, soprattutto per pasdaran e basiji in pensione. Sono divenute, quindi, una sorta di sistema sociale permanente che forma la base del consenso al regime. Esse godono di ampi favori fiscali, tra cui la non imponibilità degli utili, nonché di prestiti agevolati e donazioni, di indipendenza nel commercio estero.
Le Fondazioni esistenti in Libano, inoltre, sono legate ai mercanti del bazar attraverso il Consiglio Islamico di Coalizione guidato da Asgar-Oladi, personaggio eminente del gruppo politico islamico-iraniano Al-Motalefeh che sostiene Rafsanjani. Ciò mette in luce lo stretto rapporto che intercorre tra Fondazioni e famiglia Rafsanjani. Grazie a questi legami Rafsanjani controlla gran parte del commercio con l'Asia ed accede ad un'ingente frazione degli introiti della vendita del petrolio.

Il 'caso Al Manar?
La televisione Al-Manar è stata fondata dagli Hezbollah nel 1991 a Beirut con pochissimi mezzi, ma riesce a trasmette dal Libano solo a partire dal 2000, momento del ritiro delle truppe israeliane dal sud del Paese e dell'affermazione di Hezbollah come partito politico.
La propaganda del 'Partito di Dio' oggi viene comunicata a tutto il mondo arabo e non solo: attualmente raggiunge anche l'Inghilterra, la Germania e la Francia (che ha deciso di bandire la televisione libanese il 14 dicembre 2005). Una decisione presa dopo le accuse di propaganda antisemita mosse loro dal ConseilAudiovisuelle Français (CSA). Pochi giorni dopo, il 17 dicembre dello stesso anno, una simile decisione è stata presa anche dagli Usa, che hanno inserito la stazione televisiva in una 'lista nera' per avere 'incitato alle attività terroriste'.
Nella homepage del sito web della televisione legge questa definizione: «Hezbollah è un movimento di lotta islamico». Ed ancora si legge: «Una TV Libanese che mira a preservare gli ideali islamici e valorizzare il ruolo civilizzatore della comunità araba e islamica. Al-Manar è il primo ente arabo a mettere in atto una guerra psicologica efficace contro il nemico sionista. Le questioni politiche, culturali e sociali sono di speciale importanza per i programmi della stazione. Ma più importante di tutti è la lotta al nemico sionista.»
In effetti, ogni trasmissione dell'emittente libanese è immediatamente seguita da appelli per colpire gli ebrei e i loro sostenitori, dovunque si trovino, e dall'esaltazione sistematica degli attentati terroristici non solo degli Hezbollah ma anche di Hamas e di altri gruppi. Non è da sottovalutare, inoltre, che Al-Manar ha milioni di telespettatori. Lo studioso Avi Jorisch nella sua ricerca su Al-Manar, La fabbrica dell'odio, ha concluso che la televisione degli Hezbollah è una macchina per fabbricare non antisemiti 'culturali' ma terroristi pronti a passare all'azione.
La tv ha un'identità in bilico fra fonte sciita d'informazione e organo militare del 'Partito di Dio': essa propone sia sceneggiati televisivi che trasmissioni 'culturali' in cui traspare un'ideologia antisemita. La televisione araba sostiene anche- ed è un altro tema ricorrente della sua programmazione - che l'attentato dell'11 settembre è stato organizzato dal Mossad israeliano (ovvero l'agenzia di intelligence ed un servizio segreto dello Stato di Israele) d'intesa con la CIA per permettere a Bush di invadere l'Afghanistan e l'Irak.
Al Manar è la terza emittente del Libano, ma soprattutto dopo i bombardamenti è diventata quarta negli ascolti all'estero fra tutte le tv arabe, dopo giganti come Al Jazeera e Al Arabiya.
Al Manar è un fenomeno interessante non solo in se stesso, ma soprattutto perché ha mostrato tutta l'ampiezza del problema creato da una situazione inedita in cui le televisioni provenienti da Paesi terzi - rispetto all'Unione Europea - pongono problemi in quanto non rispettano la legislazione a livello comunitario o degli Stati membri (tra queste, ad esempio in Francia, oltre a Al Manar, le televisioni iraniane Sahar 1 e Al Alam).
La 'questione Al Manar? è dunque emblematica e mette in luce tutte le problematiche che caratterizzano l'attuale settore audiovisivo a causa dei cambiamenti intervenuti al suo interno: il progresso tecnologico da un lato e il nuovo quadro giuridico dall'altro.

Ma si pone un'ulteriore riflessione, di natura giuridica e filosofica, sulle problematiche di fronte alle quali ogni Stato democratico si trova quando deve proteggere il diritto alla libertà di espressione e il dovere alla protezione dell'individuo (facendo il bilancio fra la prima e le sue restrizioni necessarie) soprattutto quando in gioco c?è il pluralismo culturale.

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