Stefano Cucchi: 9 anni di omertà, documenti spariti e minacce...



 Sono tredici volte che la vicenda di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato nel 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale, arriva nelle aule di giustizia. Nove anni di omertà, silenzi, documenti spariti e minacce prima che il carabiniere Francesco Tedesco trovasse il coraggio di parlare.

Seppure sospeso dal servizio Francesco Tedesco resta un militare: non parla senza essere autorizzato. Ma è il suo difensore Eugenio Pini, a rivelare il suo “senso di liberazione dopo un lunghissimo silenzio forzato”. Forzato perché nei tre verbali di interrogatorio resi a luglio, settembre e ottobre ai pm di Roma, ricorre sempre un elemento: la paura, per la carriera e per ipotetiche ritorsioni.

Tutto ebbe inizio il 15 ottobre 2009, quando Cucchi fu arrestato perché trovato in possesso di droga. Già nel cuore di quella notte si sentì male in caserma, e le sue condizioni peggiorarono, tant’è che in breve tempo fu portato in ospedale, dove morì. Furono portati a processo sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria poi clamorosamente assolti. Nella prima indagine, l’ipotesi accusatoria era che Cucchi fosse stato abbandonato in ospedale e lasciato morire di fame e sete.

In realtà un pestaggio violento ci fu, a poche ore dal suo fermo, con Cucchi a terra e due carabinieri che in un’ “azione combinata” infierivano sul geometra. C’era stato un battibecco tra il giovane appena arrestato e uno dei due carabinieri. All’uscita dalla sala del fotosegnalamento della Compagnia Casilina, dopo una serie di insulti arriva lo schiaffo di Di Bernardo e parte il pestaggio: Stefano perde l’equilibrio e cade sul bacino per un calcio di un carabiniere e una violenta spinta dell’altro. Infine una botta alla testa, tanto violenta da far sentire il rumore – si legge nel verbale – e l’ultimo colpo sferrato da D’Alessandro con un calcio in faccia a Cucchi mentre questi è a terra. “Gli dissi ‘basta, che c…fate, non vi permettete”, fa mettere a verbale Tedesco che aiuta Cucchi a rialzarsi. “Sto bene, io sono un pugile”, gli dice il geometra.

Poi è calato il silenzio: nove anni di minacce, il tentativo di insabbiamento e infine il coraggio di parlare, di dire tutto. Per non sentirsi più “solo contro una sorta di muro, come se non ci fosse nulla da fare”. Fin dai primi minuti successivi al pestaggio, Tedesco dice di aver provato a parlare: aveva informato l’allora comandante della stazione Appia, Roberto Mandolini, imputato al processo per calunnia e falso assieme a Vincenzo Nicolardi. Ma dal comandante non arriva alcuna risposta neppure quando – dopo la notizia della morte di Cucchi – Tedesco scrive ciò che ha visto in un file che salva su un pc.

Stampai due copie del file dell’annotazione redigendo due originali”, che nonostante fossero protocollate non sono state più ritrovate nell’archivio, né sembrano mai arrivate all’autorità giudiziaria. Anzi. “D’Alessandro e Di Bernardo mi dissero che avrei dovuto farmi i c… miei”, spiega Tedesco al pm il quale a giugno ha presentato una denuncia contro ignoti per la sparizione della notazione di servizio. E Mandolini prima dell’interrogatorio gli consiglia : “Digli che non è successo niente”.

Nove anni di silenzio alla fine dei quali Tedesco ha deciso di parlare. “All’inizio avevo molta paura per la mia carriera – dice al termine dell’interrogatorio – poi mi sono reso conto che il muro si stava sgretolando e diversi colleghi hanno iniziato a dire la verità”. Tra questi il collega Riccardo Casamassima, l’appuntato che con la sua testimonianza fece riaprire l’inchiesta e che oggi dice a Tedesco “bravo, ti sei ripreso la tua dignità”.

La testimonianza di Tedesco attende ora di essere acquisita agli atti del processo: forse dopo nove anni la morte di Stefano Cucchi troverà la verità...

(blitz quotidiano)

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