La bellissima lettera di Ilaria Cucchi al fratello dopo la presentazione del film sulla sua morte...


«Voglio incontrare questo famoso ministro Salvini. Pubblicamente. Guardarlo negli occhi. Senza dire nulla. Fargli abbassare quello sguardo freddo ed inespressivo. A Ste’, questo non avrà mai il coraggio. E poi lui sì che fa parte della casta».


Una lettera toccante, dura, emozionante. Scritta da Ilaria Cucchi pochi minuti dopo la presentazione del film sulla morte del fratello Stefano alla Mostra del Cinema di Venezia «Sulla mia pelle».

La pubblichiamo per intero qui sotto.

«Sono profondamente commossa. Provata. Guardo il cielo sperando di poter incontrare il tuo sguardo. Non vedo nulla. Solo le luci accese della sala Darsena dove è appena terminato il film sulla tua morte. Sento gli applausi della gente. Prendo l’abbraccio di Alessandro e Jasmine e poi anche quello di Max. Le 1500 persone che stipano il cinema si stringono tutte intorno, quasi tutte in lacrime. 

Questa è la gente intorno a noi. 
Qualcuno ha detto che dopo un fermo ci può scappare qualche schiaffo, qualche pugno. E se poi il fermato cade e si fa male pazienza. 
Niente legge contro la tortura perché lega le mani alla Polizia. Ma la Polizia non sente il bisogno di avere quelle mani libere che sarebbero sporche di sangue. Forse magari il sindacato di Tonelli la pensa diversamente ma la Polizia del comandante Gabrielli è altra cosa.

Ste’ ti sei preso qualche schiaffone. Qualche pugno. Qualche calcio. 

Sei caduto e ti sei fatto male. Molto male. Ma ce ne dobbiamo fare una ragione io te mamma e papà. In fin dei conti questo qualcuno è ora il ministro dell’Interno. Ora, ironia della sorte, sta facendo passerella e cene di gala a Venezia.

Voglio incontrare questo famoso ministro Salvini. Pubblicamente. Guardarlo negli occhi. Senza dire nulla. Fargli abbassare quello sguardo freddo ed inespressivo. A Ste’, questo non avrà mai il coraggio. E poi lui sì che fa parte della casta.

Non abbiamo giustamente preso un euro da questo film ma la soddisfazione è tanta. 

Tu sei un atto d’accusa vivente, sì, vivente, contro quel modo di pensare ignorante e violento. Tu che di violenza sei morto. 
Ti abbraccio forte forte. 
Come hanno abbracciato me. 
Notte»...

(Corriere della Sera)

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