In memoria di Angelo, operaio, nato e morto sotto le ciminiere dell'Ilva...
Angelo Raffaele Fuggiano, 28 anni, lascia una compagna e due figli piccolissimi. Era nato nello stesso quartiere di Taranto di Giacomo Campo, ucciso anche lui sul lavoro. Due storie parallele.
Daniela Amenta
C'è quell'urlo disumano, l'urlo con tutto il dolore del mondo, quando la famiglia di Angelo arriva all'Ilva. Quando ormai è certo che quel ragazzo, il loro ragazzo, è morto. L'urlo, le lacrime, la rabbia: dove stanno i politici? Già dove stanno, in quale salone a giocare ai contratti mentre la gente muore per campare?
Angelo Raffaele Fuggiano aveva 28 anni, era nato a Tamburi, il quartiere operaio di Taranto che si allunga sotto le ciminiere dell'Ilva. Il quartiere dove la gente si ammala di tumore. Il quartiere segnalato da due cartelli: su uno c'è scritto Tamburi, sull'altro cimitero. E Angelo Raffaele era nato qui. Stava sostituendo una fune ad una delle gru che scaricano i minerali nel reparto degli Impianti Marittimi quando è saltato un ancoraggio ed è stato colpito in pieno dal bozzello del cavo d'acciaio.
Venti mesi fa era toccata la medesima disgraziata sorte a un altro giovane operaio dell'appalto Ilva. Si chiamava Giacomo Campo, aveva 25 anni schiacciato da un nastro trasportatore. Anche lui nato a Tamburi.
Due vite spezzate per portare a casa uno stipendio misero. Due vite spezzate e due famiglie distrutte. Angelo Raffaele Fuggiano lascia una compagna e due figli piccolissimi. Su Facebook ci sono le foto di lui che li tiene per mano con un sorriso grande: i bambini hanno un vestito da Carnevale e sorridono felici anche loro. Chissà che sogni aveva questo ragazzo di Tamburi che scriveva "C'è un tempo per tutto. Per tornare. Per perdonare. Per parlare. Per superare. Poi il tempo finisce". Il tempo di Angelo è finito in una mattina di maggio nella fabbrica che per 28 anni è stata lo skyline della sua vita. E nell'urlo disperato della sua famiglia c'è l'intera tragedia di chi è costretto a lavorare in condizioni estreme, impossibili. C'è il dramma dell'Ilva, uno dei grandi e irrisolti paradossi del Sud: da una parte il lavoro, dall'altra il diritto alla salute. Come se le due cose insieme, in certi pezzi d'Italia, non possano mai stare sui piatti della medesima bilancia.
Dove sta la politica, dove stanno i politici quando si muore a 28 anni e si lasciano due bimbetti orfani? O quando si muore a 19 come a Monfalcone. Si chiamava Matteo Smoilis, operaio ragazzino, schiacciato da un carico di 700 chili nel centro navale di Fincantieri. Ucciso davanti agli occhi del padre che stava per andare in pensione e lo aveva portato lì, in cantiere, per insegnargli il mestiere. Dove sta la speranza in un Paese dove ci sono categorie di lavoratori che sanno a che ora escono la mattina e non se ritorneranno a casa la sera? Non sanno se potranno abbracciare ancora i figli bambini, se ci sarà un altro Carnevale con le maschere buffe e i sorrisi e le mani strette e l'amore più forte anche della fatica...
(Globalist)
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