Un'intera città di senzatetto nel cuore gelato di New York...
Giorgio Ferrari
A migliaia rischiano di morire sui marciapiedi, spolverati dal blizzard che si stende come una coltre ingannevole sopra i loro corpi. E non sempre è possibile soccorrerli tutti
Zero gradi Farenheit, meno 17,8 gradi Celsius. L’inverno a Boston, a New York, perfino in Florida in questi giorni si sta rivelando durissimo. Una temperatura insopportabile. Soprattutto per quelle 553.732 persone che secondo le stime federali sono ufficialmente senza tetto. E più ancora per quei 130mila che si aggirano senza dimora per le strade di New York. Dei quali solo poco più di 60mila trovano ricovero nei rifugi messi a disposizione dal sindaco Di Blasio. «Non limitiamoci a definirli sbrigativamente homeless – dice Abigail, portavoce di Coalition for the Homeless (Cfth), la più importante fra le organizzazioni non governative – perché molti di loro sono figli di una crisi più vasta, che viene da lontano. A cominciare dal brusco rincaro degli affitti, dalle abitazioni abbandonate e perdute a seguito del collasso dei mutui subprime. È un’altra America che spesso si evita di guardare». È vero, ma è vero anche che gli homeless – di fatto una città nella città che sicuramente sfugge ad ogni possibile censimento – rappresentano un problema di non facile soluzione.
In fondo alla 51ma Ovest a Manhattan c’è un rifugio per senzatetto. Tre uomini sono accovacciati sul marciapiede. Si fa fatica a concepire che in una metropoli che trasuda opulenza, energia e ottimismo come New York City esista un’umanità scivolata a tal punto in fondo alla china, che trascina la propria esistenza da un lastricato all’altro. «Lo shelter, il rifugio, c’è – dice Matthew, che fa il cameriere in un ristorante francese – ma loro non ci vanno volentieri. Preferiscono stare sulla strada. E morire di freddo, se è il caso». Follia? Non proprio. Anche i ricoveri a volte sono un pericolo. Secondo un rapporto del Nypd (il dipartimento di polizia di New York) ben 34 sui 57 alberghi che la municipalità ha riservato alle famiglie di senzatetto con prole sono stati teatro di atti criminosi, come l’induzione alla prostituzione, il traffico di droga, il furto di beni e le minacce. Un sistema che al Comune costa 575mila dollari al giorno per ospitare 7.500 persone. Una goccia nel mare, che per giunta non funziona. «Perché gli homeless e le loro famiglie sono i soggetti più deboli della catena, spesso costretti a subire e a tacere e talvolta cedere alla tentazione di raggranellare qualche dollaro in cambio di sesso», spiega il reverendo David O’Dale, cattolico, che presta servizio nella cattedrale di St Patrick sulla Quinta Strada.
Non occorre riesumare il tanto decantato compassionate conservatism – cavallo di battaglia dei repubblicani – per rendersi conto di come la democratica New York (a Manhattan Donald Trump non ha superato il 15% dei voti) sia da sempre, a dispetto di quanto si possa credere, una città sensibile e solidale. Decine di volontari perlustrano ogni notte a bordo di minivan gli angoli meno ospitali del Bronx, di Staten Island, di Spanish Harlem, di Bedford Stuyvesand a Brooklyn. Ciascun mezzo dispone di 250 pasti caldi. In mezz’ora vanno regolarmente esauriti. «Chi si imbatte in un senzatetto può chiamare il 331 e avvisarci perché lo si accompagni in un rifugio», dicono i volontari. Ma c’è chi, come Mursel Ilker Yalbuzdag, fa ancora di più: il suo locale, l’Ali Baba, tra la 46ma Est e la Seconda Avenue, offre un tetto e una stanza riscaldata a chi ne ha bisogno. «Per il Giorno del Ringraziamento abbiamo ospitato cento persone a pranzo – dice Mursel – ma per la notte non abbiamo tutto questo spazio. Una decina almeno però nel vestibolo ci stanno. Non è molto, ma mi sembra doveroso farlo».
«Quella di New York City è la crisi peggiore dai tempi della Grande Depressione – dice Giselle Routhier di Cfth – complice il rincaro degli affitti e il crescere della diseguaglianza sociale. Il sindaco Di Blasio ha fatto molto, ma non basta mai. Anche perché la sola città di New York non ce la può fare da sola. Occorre un intervento dello Stato, del governatore Cuomo. I costi per fornire un riparo di emergenza ai single e alle famiglie senza tetto è aumentato di circa 700 milioni di dollari dal 2011, eppure lo Stato ha sostenuto meno del 6% di questo costo. Questa è una vera emergenza, anzi una vera e propria guerra per i senzatetto, una guerra in cui il Governatore è assente». Le nude cifre danno un’idea chiarissima del problema e dei diversi modi affrontarlo: per il Municipio si può solo contenere il numero dei senzatetto – peraltro in continuo aumento – stabilizzandoli a 63mila entro il 2020. Secondo Cfth si può diminuire il disagio degli homeless offrendo loro assistenza, ricovero e sostegno riducendone il numero fino a 47 mila.
Ma accanto alla New York solidale esiste anche una città arroccata nei propri egoismi privati. Come chi lamenta il cattivo affare dell’appartamento acquistato in una brownstone sull’8va Avenue: «Quando ho comperato casa nel 2001 il marciapiede era sgombro. Oggi debbo fare lo slalom fra i senzatetto e il valore del mio appartamento è crollato». «Molti homeless hanno problemi psichici – dice Hanna – per questo non capiscono che devono ripararsi dal gelo e restano in strada a morire di ipotermia». «Rimpiango il sindaco Bloomberg – dice Thomas –: era un uomo d’affari, ricco e liberale, ma ha trattato il problema con metodo e buon senso. Di Blasio invece sta spendendo 2 miliardi di dollari con risultati scadenti e forse si occupa più delle piste ciclabili che dell’emergenza homeless». «Essere senzatetto non è un reato – dice la portavoce della polizia di New York Jessica McRorie –: quando ne incontriamo uno gli offriamo la possibilità di essere assistito, ricoverato e curato. Ma molti rifiutano. È un loro diritto, ma il numero di coloro che dicono "no grazie" è molto elevato. Nell’anno che si è appena concluso abbiamo fatto almeno diecimila interventi, ma il novanta per cento dei senzatetto ha rifiutato il ricovero nei rifugi».
È una guerra, dicono i responsabili di Coalition for the Homeless. Di cui New York City è solo la spia più appariscente, perché anche il Texas, la Florida e la California vantano il triste primato del più alto numero di giovanissimi senza tetto. Siamo lontani dai tempi della Grande Depressione, quando gli homeless superavano i due milioni, ma il numero reale di cittadini senza dimora (compresi coloro che l’hanno perduta per disastri naturali, i divorziati, i veterani dell’Iraq e dell’Afghanistan affetti da disordine da stress post-traumatico) è insopportabilmente alto. «Anche il Rambo di Sylvester Stallone, un veterano del Vietnam, a suo modo era un senza dimora. Vagabondava per gli Stati Uniti cercando di dare un senso alla propria vita», dice Father O’Dale.
Il bilancio è sconfortante. Nel 1890 un’inchiesta del fotoreporter Jacob Riis per il "New York Tribune" svelò la drammatica situazione di quella che Riis – un immigrato danese con la passione per il giornalismo – raccolse nel volume dal titolo How the other half lives (come vive l’altra metà). Un ritratto senza veli della vita grama degli slum e delle migliaia di homeless che popolavano New York sul finire del diciannovesimo secolo. Centoventisette anni dopo, Riis, fotografo di grande talento, potrebbe sostanzialmente offrirci il medesimo reportage. Che in effetti fu riproposto dal "New York Times" nel 2013 raccontando la storia di Dasani, una ragazzina di colore che ha trascorso un terzo della propria esistenza con la famiglia nell’Auburn Family Center di Fort Greene a Brooklyn insieme ad altri 280 minori: un ghetto per homeless, circondato da un quartiere in rapida gentrificazione, dove case di lusso e orgogliosi grattacieli stavano rapidamente prendendo il posto del vecchio panorama del borough newyorkese. La storia di Dasani, la virtuale emarginazione che i senzatetto subiscono nonostante la buona volontà e gli aiuti comunali e federali, ha commosso l’America. Anche perché le statistiche rivelano che un bambino americano su cinque vive a ridosso della soglia di povertà. Il gelido abbraccio dell’inverno imprigiona New York nelle sue eterne contraddizioni. A migliaia rischiano di morire sui marciapiedi, spolverati dal blizzard che si stende come una coltre ingannevole sopra i loro corpi. E non sempre è possibile soccorrerli tutti...
(Avvenire.it)
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