Noi, minori afghani di Atene, costretti a prostituirci con gli anziani pur di sopravvivere...
Bloccati nella capitale, migliaia di minori stranieri non accompagnati vendono il loro corpo agli anziani, a cifre irrisorie, per sostenersi e poter lasciare la Grecia.
di Fernanda Pesce Blazquez
ESCLUSIVO DA ATENE – Amir è un ragazzo afghano di 16 anni e ha un grande sogno: diventare medico. Ogni notte attraversa la strada, attento a non farsi vedere, e con un gruppo di amici si addentra nel buio di un parco di fronte al campo profughi di Elliniko, nel quale vive da mesi, alla periferia di Atene.
Ma lui e i suoi compagni non giocano a nascondino in mezzo alla boscaglia. Aspettano i clienti. Ogni notte si prostituiscono per meno di trenta euro, sotto gli occhi del governo greco, che gestisce il campo e fa finta di non vedere.
Dietro un albero, ben nascoste, le decine di preservativi e fazzoletti usati sono il racconto di quello che accade tra i cespugli quando cala il sole. All’interno di questa cornice desolante avvengono gli incontri tra i minori non accompagnati, provenienti dall’Afghanistan, e gli uomini greci, perlopiù anziani, in cerca di rapporti sessuali a pagamento.
“La prima volta è successo nei pressi di piazza Syntagma, in pieno centro. Un vecchio mi si è avvicinato e mi ha fatto l’occhiolino. Solo dopo ho capito”, racconta Amir, seduto su una delle panchine del parco. “A volte mi toccano. Mi si siedono accanto e mi stringono il braccio per farmi capire che vogliono venire a letto con me. Guarda, ti faccio vedere come fanno”.
Amir mima il gesto, sorride nervosamente e non si sofferma troppo sui dettagli. È visibilmente spaventato. Chiede di non essere immortalato in viso e di falsificare la sua identità. Nessuno deve scoprire quello che fa quando esce dal recinto del campo di Elliniko.
“Sono musulmano e fare sesso con questi uomini mi provoca un grande senso di colpa. Per questo cerco di non far sapere a nessuno del campo quello che in realtà facciamo. Me ne vergogno”, spiega Amir, senza mai alzare gli occhi da terra. “Credo che questi vecchi siano malati di mente, ma ho bisogno di soldi per comprarmi i vestiti, per mangiare quello che mi piace e per potermi comprare le sigarette”.
È arrivato ad Atene circa un anno fa. È orfano: i suoi genitori sono entrambi morti in Afghanistan. I suoi fratelli e le sue sorelle, invece, sono rimasti tutti nella provincia afghana del Panjshir e lui ha raggiunto la Grecia da solo, dopo un lungo viaggio in mare, alla ricerca di un futuro migliore. Proprio come i restanti 2.300 minori stranieri non accompagnati presenti in tutto il Paese, secondo l’ultimo rapporto E.K.K.A/Unicef.
“Se non facessi questo lavoro non avrei nulla. Non avrei soldi e non potrei nemmeno parlare con i miei fratelli”, racconta, tirando fuori dalla tasca il suo smartphone. Amir è anche uno dei 60mila migranti e rifugiati bloccati in Grecia, a seguito al controverso accordo Ue-Turchia, entrato in vigore a marzo del 2016.
Non può nemmeno andare a scuola, dal momento che nei campi statali l’istruzione viene seriamente trascurata, fatto salvo per le lezioni di lingua che in alcune strutture sono tenute dai migranti stessi o dai volontari internazionali, per un’ora al giorno. Secondo un recente rapporto dell’Unhcr, la probabilità che i rifugiati non possano frequentare la scuola è cinque volte superiore alla media globale.
Non lavora né studia Amir, che da mesi vive in una tenda all’interno del vecchio terminal delle partenze di Hellinikon, l’ex aeroporto internazionale di Atene, all’interno del quale il governo greco ha improvvisato il campo di Elliniko, che oggi ospita circa 3mila migranti, provenienti principalmente dall’Afghanistan. Gli aerei abbandonati, sulla pista che ora è il cortile di casa, sono solo un ammasso spettrale di ferraglia e polvere, ma Amir li osserva ogni giorno e rivolge lo sguardo verso il cielo, in direzione della Francia e dei suoi sogni.
(Alcuni bambini giocano in strada, all’ingresso di Hellinikon, l’ex aeroporto internazionale di Atene, abbandonato nel 2001 per una struttura più moderna in vista delle Olimpiadi del 2004. Credit: Francesco Pistilli; l’articolo continua dopo la foto)
I minori stranieri non accompagnati in Grecia iniziano a vendere il loro corpo proprio perché vogliono trasferirsi altrove. E vogliono farlo il più in fretta possibile. Sognano tutti il nord Europa, proprio come Amir. La Grecia e questo vecchio aeroporto abbandonato sono solo una delle tappe di un’avventura più grande di loro, che il più delle volte diventa una vera e propria ossessione.
I ragazzi hanno bisogno di soldi per pagare i trafficanti e partire, ma spesso si ritrovano a dover soddisfare bisogni primari, restando così intrappolati in questo giro di prostituzione minorile. Molti di loro iniziano contemporaneamente a fare uso di droghe: chi per noia, chi per disperazione. In questi casi, il sesso a pagamento diventa il mezzo più semplice e rapido per potersi pagare le sostanze.
Il parco degli orrori
A Pedion Areos, un parco in pieno centro noto agli ateniesi per lo spaccio e la prostituzione minorile, incontro Said. Dice al mio traduttore, un afghano sulla trentina che lavorava per la Nato, di avere vent’anni, ma è difficile credergli. Ne dimostra molti di più. Le mani di Said, un afghano Hazara dagli occhi a mandorla che vive e dorme in strada, sono invase dalle piaghe.
Trascorre le sue giornate a fumare una nuova droga, ricavata dall’acido delle batterie delle automobili, in una radura all’ingresso del grande parco, insieme a un gruppo di tossicodipendenti. È la sisa: la droga della crisi, anche conosciuta come “la droga dei poveri”. Said non sembra troppo interessato alle chiacchiere e ha solo un obiettivo: trovare la sua dose giornaliera.
Oltre il cancello del parco, si erge lo scheletro di una città in declino, che conserva ancora il fascino di una grande capitale e i sogni disperati di chi la vive. Come Alexis, un ragazzo greco di 34 anni che sogna di tornare a fare il fotografo. Ha studiato all’università e parla un perfetto inglese. Porta sempre con se un sacchetto sgualcito di plastica nel quale conserva alcune matite colorate e un foglio. Disegna. E si buca. E così evade dall’universo spettrale nel quale è piombato da tempo.
Basta fare un giro verso sera per i vialetti desolati del parco, per imbattersi in almeno una trentina di vecchi seduti sulle panchine nascoste tra gli ulivi. Alcuni fanno finta di camminare e quando si sentono osservati, si girano di scatto, nevrotici. Altri guardano nel vuoto e aspettano.
Altri ancora non hanno problemi a manifestare le loro voglie. “Cercate dei giovanotti? Se li trovate fatemelo sapere, mi raccomando, li sto cercando anche io”, rivela un anziano sulla sessantina, con una risata sinistra e famelica. La risata di chi aspetta da ore la sua prossima preda.
Quasi ogni giorno si reca nel parco di Pedion Aereos e con i ragazzi dell’unità di strada della cooperativa Steps si occupa di cucinare e distribuire pasti caldi ai tossicodipendenti e ai senzatetto che passano di lì, tra cui Said e Alexis. Quando lavora con i minori stranieri non accompagnati, preferisce agire da solo.
“Mi avvicino per conto mio, per non spaventarli. Solitamente chiedo loro se hanno bisogno di qualcosa, di documenti o informazioni. Non voglio invadere il loro spazio, facendomi subito dire se si prostituiscono o meno”, racconta Smetopoulous. “Cerco di parlare con loro, soprattutto per capire la loro situazione, dar loro una speranza e aiutarli a tornare a credere in loro stessi”.
“La maggior parte di loro non può lavorare perché ha meno di diciotto anni. Per questo in tanti iniziano”, spiega l’assistente sociale, mentre ci mostra una radura nascosta del parco, dove l’unico spettatore agli incontri tra minori e anziani sembra essere un pettirosso che zompetta sulle foglie secche e i profilattici usati. “È molto difficile stabilire quanti siano i bambini che si prostituiscono. Non esiste al momento alcuna associazione che raccolga dati a riguardo o si occupi seriamente del problema”.
Un bambino di quindici anni, che vende il suo corpo in pieno giorno al parco, ha rivelato a Smetopoulous di conoscere personalmente almeno 150 dei 3mila ragazzi di età compresa tra i 15 e 25 anni che si pensa si prostituiscano in tutta Atene.
Giorgios Kyritsis, il portavoce del coordinatore del governo greco per le politiche migratorie, ha dichiarato a TPI che “le agenzie del ministero per le politiche migratorie assicurano che nessun caso di prostituzione e/o violenza sessuale si sia verificato all’interno dei campi gestiti dal governo”, aggiungendo come “ad ogni modo, i campi sono aperti e il ministero non può essere al corrente di quello che accade a tutti i migranti che escono dalle strutture”.
A detta del portavoce, la polizia non è al corrente di alcun caso di prostituzione minorile che coinvolga minori rifugiati, ma in ogni caso le autorità restano vigili e in allerta poiché considerano questa eventualità estremamente grave.
Gli incontri sessuali
Faarooq ha 22 anni e tanto coraggio. Anche lui è afghano, di Mazar-i Sharif, e vive nel campo profughi di Elliniko, nella tenda accanto a quella di Amir. Di fronte alla porta dei fatiscenti bagni comuni, in un corridoio stantio del terminal, accanto all’area riservata alla preghiera, Faarooq sorride e ci mostra quella che da qualche mese chiama casa. Pochi metri quadrati di tela, separati dalle altre tende con una distesa di lenzuola colorate.
Oltre le grandi vetrate dell’aeroporto un tramonto porpora bagna il mare nel quale si affaccia il parco dove ogni notte si ripetono gli incontri. Un rituale osceno a cui la maggior parte di loro si è tristemente abituato.
(Il parco in riva al mare di fronte al terminal dell’ex aeroporto internazionale di Atene, dove hanno luogo gli incontri tra i minori stranieri non accompagnati e gli anziani greci. Credit: Francesco Pistilli; l’articolo continua dopo la foto).
“Questi uomini hanno una bella vita e solitamente arrivano con una bella macchina. Quando non facciamo sesso con loro in macchina o nel parco qui davanti, andiamo a casa loro, al caldo. Dura una decina di minuti e poi me ne vado”, racconta Faarooq. “Quando usciamo di notte nel parco, uno di noi fa da palo, per assicurarsi che nessuno arrivi o ci veda”.
Faarooq è molto portato per le lingue. Ha iniziato gli studi di giurisprudenza in Afghanistan, che non ha potuto concludere, e ha provato a cercare un lavoro come sarto ad Atene, racconta. Ma non ha trovato nulla. E così ha iniziato a prostituirsi. Come lui, che ha speso circa 7mila euro per raggiungere l’Europa e si è ritrovato bloccato in un limbo, sono migliaia i ragazzi giovani che presi dallo sgomento cedono agli orrori della strada.
“Ho smesso di andare a Pedion Areos. È pieno di eroinomani e una volta sono stato attaccato di notte. Hanno provato a rubarmi il telefono. Per questo adesso cerchiamo di girare sempre in gruppo. Saremo una decina in tutto, nel campo, e sono tutti più piccoli di me. Per andare dai clienti normalmente facciamo i turni, per poter mangiare e dormire tra un incontro e l’altro”, spiega.
“Ormai ho esperienza, sai? So bene che cosa significa quando un uomo mi guarda sull’autobus o in treno e mi sorride. Lo capisco, so quello che vuole. Posso leggerglielo negli occhi”, si ferma un momento e scorre le foto sullo schermo del suo Samsung. Ne mostra una in cui rischia la vita agganciato sotto a un tir e con orgoglio confessa: “Questo sono io. Voglio attraversare il confine. Ci voglio riprovare”.
(Faarooq, nel parco di Elliniko, intento a mostrare le cicatrici che si è procurato per incidere le iniziali della sua fidanzata. Credit: Francesco Pistilli)
(The Post Internazionale)
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