Dove sono al-Baghdadi e i capi Isis?...
Il Califfato, proclamato da al Baghdadi il 29 giugno 2014 a Mosul è caduto. Alcune sacche di resistenza sopravvivono in Siria, a sud di Idlib e lungo l’Eufrate, molti dei mujahideen si sono dati alla macchia nella provincia di Ninive, altri si sono mescolati ai flussi migratori, sperando di tornare in patria inosservati.
– Ma al Baghdadi e gli altri capi della vecchia Isis, che fine hanno fatto?
– Tutti morti? Vivi e in fuga? Dove?
Sappiamo che il Califfato, proclamato da al Baghdadi il 29 giugno 2014 a Mosul nella grande moschea al Nuri, è caduto. Alcune sacche di resistenza sopravvivono in Siria, a sud di Idlib e lungo l’Eufrate, molti dei mujahideen si sono dati alla macchia nella provincia di Ninive, altri si sono mescolati ai flussi migratori, sperando di tornare in patria inosservati. Sappiamo anche che quello che è stato per quattro anni un proto-stato, non esiste più.
Il Califfo fantasma e il fantasma del Califfo
Ed ecco che improvvisamente, l’attenzione internazionale per quello che è stato il fatto di politica internazionale più importante degli ultimi anni è scomparso.
Assieme ad al Baghdadi, il nemico numero uno dell’Occidente, è svanito nel nulla insieme ai suoi fedelissimi e il mondo non ne parla. La domanda, con altre parole se la pone Matteo Pugliese, ricercatore ISPI, OSCE ‘Special Representative on Youth and Security’, sull’Huffington Post. E val la pena ragionarci assieme.
Al Baghdadi, colui che ha raccolto il testimone dello jihadismo globale da Osama bin Laden, il nemico numero uno dell’Occidente, svanito. Nessuno sembra curarsene, tutti apparentemente inconsapevoli o dimentichi del pericolo corso.
Pugliese fa un ‘riassunto’ per i disattenti: «Un’organizzazione in grado di mettere in piedi un governo, battere moneta, creare una polizia religiosa (hisbah), un servizio d’intelligence (Emni), diffondere online una propaganda efficacissima, reclutare decine di migliaia di occidentali».
Le ‘menti raffinatissime’
Per una simile impresa criminale non basta un singolo uomo, sostiene il ricercatore, che ripesca da Giovanni Falcone “menti raffinatissime”, che dietro ai tagliagole barbuti sono state in grado di assemblare un’entità sofisticata. Anche per loro, la domanda chiave: che fine hanno fatto? morti
«Secondo l’esperto irakeno Hisham al Hashimi, al Baghdadi è l’ultimo sopravvissuto del gruppo fondatore. Dei 79 principali capi, ne restano circa 10. Abu Bakr (kunya che significa padre di Bakr) al Baghdadi è in realtà Awad Ibrahim al Badri, originario di Samarra. Il capo dell’intelligence curda, Lahur Talabani, ha affermato che al 99% è ancora vivo».
Sappiamo poco perché lo spionaggio occidentale ha faticato a infiltrare spie nello Stato Islamico. La Giordania aveva una talpa, comandante dell’Isis per tre anni, alla fine esfiltrata da Deir Ezzor. Dal Kosovo, assieme si 335 ‘foreign terrorist fighters’, anche una spia poi scoperta e uccisa.
Al Baghdadi vivo o morto
Per il generale americano Stephen Townsend, al Baghdadi si troverebbe nel Middle Euphrates River Valley. Matteo Pugliese, assieme al corrispondente del Daily Beast, Wladimir van WIlgenburg, pensa che il califfo si nasconda nel deserto, dove gode ancora dell’appoggio delle tribù sunnite dell’Anbar, in un triangolo fra Abu Kamal, Baaj e Shirqat, fra le province irakene di Ninive e Anbar.
Poi i servizi segreti. Avvistamenti incerto e ‘quasi morti’ presunte.
Ma negli ultimi 18 mesi, il califfo sarebbe stato localizzato almeno tre volte. A fine maggio 2017, il ministero della Difesa russo annunciò la morte di al Baghdadi in un bombardamento alla periferia sud di Raqqa, ma non vi sono riscontri oggettivi. L’avvistamento più recente risale alla fine del Ramadan 2017, ad Abu Kamal sull’Eufrate, in quella Middle Euphrates River Valley, la MERV tra le ultime roccaforti dell’Isis.
Il gruppo dirigente di Daesh
Il gruppo dirigente di Daesh è cresciuto nella prigione americana di Camp Bucca, in Iraq -ci ricorda Matteo Pugliese- dove gli ex ufficiali di Saddam e i seguaci di al Zarqawi hanno elaborato l’odio condiviso. Deciisivo per la struttura militare gli ex baathisti irakeni. Una delle loro creazioni è l’Emni, l’apparato di spie dello Stato Islamico.
«L’architetto dell’Emni è stato Samir Abd Muhammad al Khlifawi, meglio conosciuto come Haji Bakr, ex colonnello dell’intelligence di Saddam, rinchiuso ad Abu Ghraib e Camp Bucca, dove ha conosciuto al Baghdadi. Haji Bakr ha messo in piedi una potente macchina di spionaggio e controspionaggio, responsabile anche degli attacchi in Europa.
Haji Bakr è stato ucciso in Siria nel 2014. Un altro dei luogotenenti di al Baghdadi, il portavoce dell’Isis al Adnani, nonché capo dell’Emni dopo la morte di Haji Bakr, è morto nel 2016 in un bombardamento rivendicato sia dalla Russia che dagli Stati Uniti.
I vivi e i morti certi
Fino al 2016, il numero due di Daesh è stato Abu Ali al Anbari, governatore dei territori siriani, ucciso nel 2016 da un commando americano nel deserto, elenca Pugliese. Il suo omologo irakeno, l’ex ufficiale baathista Abu Muslim al Turkmani, era stato colpito da un drone Usa nel 2015. Da allora, i quadri dello Stato Islamico sono stati decimati dai missili della coalizione, rimpiazzati da seconde e terze file. L’ideatore delle riviste di propaganda Dabiq e Rumiyah, Ahmad Abousamra, siriano cresciuto a Boston, è morto nel 2017. L’emiro responsabile dell’afflusso di reclute via Turchia, Abu Muhammad al Shimali, è stato ucciso da un bombardamento russo nel 2017 insieme a Gulmurod Khalimov, ex ufficiale delle forze speciali tagike. È morto anche Abu Sayyaf, il “ministro del petrolio”.
Chi, tra le “menti raffinatissime” sopravvive? La risposta di Matteo Pugliese. Sappiamo del convertito americano John Georgelas, detto Yahya al-Bahrumi. L’irakeno e veterano di Camp Bucca, Abu Fatima al-Jaheishi. Abu Luqman, il governatore di Raqqa, ricercato. Non si conosce il destino di Faysal Ahmad Ali al-Zahrani, saudita addetto al commercio del petrolio. Poi la caccia ai carnefici e boia, come i “Beatles” di Jihadi John, autori di decapitazioni e delle peggiori nefandezze, ancora impuniti.
Quanto ad al Baghdadi, se è ancora vivo, difficilmente ha aggirato l’accerchiamento di peshmerga, irakeni e lealisti di Assad, per rifugiarsi in qualche altro santuario jihadista.
«L’ipotesi del deserto resta la più credibile. Ricordiamo che Saddam Hussein riuscì a nascondersi per quasi nove mesi, prima di essere scovato in un sotterraneo di Tikrit. La cattura del califfo potrebbe richiedere altrettanto tempo»...
(RemoContro)
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