Ecco i dieci eroi dell’Italia migliore...




Le donne e gli uomini protagonisti di azioni coraggiose nell’anno che si sta per concludere



TORINO
Per qualche giorno sono finiti in prima pagina, ma di loro quasi tutti si sono già dimenticati. Senza pretendere medaglie, hanno compiuto imprese straordinarie, salvato tante vite e fatto arrivare lontano il loro buon esempio 


LORENZO GAGLIARDI - Otto ore sugli sci per arrivare a Rigopiano  
Nel suo ufficio, nella caserma del nucleo alpino della Guardia di finanza, non c’è più spazio per appendere targhe e pergamene. Il maresciallo Lorenzo Gagliardi ha perso il conto dei premi e degli attestati di gratitudine, sommerso da lettere di ringraziamento e messaggi affettuosi. Il presidente della Repubblica gli ha concesso la medaglia d’oro, ma tanti sconosciuti continuano a scrivergli da tutta Italia. E lui ogni volta ripensa alle famiglie di chi non è riuscito a salvare. «Ai 29 morti e ma anche a quelli che si sono sacrificati durante le operazioni di salvataggio».  

Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio, prima ancora che l’Italia intera si ritrovasse per giorni con il fiato sospeso, lui ha sfidato un’impenetrabile barriera di neve e ghiaccio. Con gli sci ha camminato per 8 chilometri e per primo è arrivato all'ingresso dell’Hotel Rigopiano: è partito a mezzanotte ed è arrivato alle quattro del mattino. «Eravamo in 12, tutti finanzieri, avanzavamo in colonna, a distanza di 20 metri l’uno dall’altro. Così, se fosse arrivata un’altra valanga non ci avrebbe travolto tutti. Dell’albergo non c’era più niente. La neve era in tutte le stanze, come se un cannone l’avesse sparata dentro a forza . Scavavo con la pala, con le mani, con un ramo: la sonda ci aveva fatto capire che sotto tre metri di ghiaccio, c’era qualcuno». E gli 11 superstiti devono la vita anche al grande lavoro del maresciallo Gagliardi, che per l’Italia è diventato l’eroe di Rigopiano.  

GESSICA NOTARO - La miss sfregiata con l’acido: “Oggi mi sento più forte”  
«Il viso poco a poco si sta sgonfiando, ora la pelle tira di meno e io riesco a fare quasi tutto. Mi sto abituando al mio nuovo aspetto, sto iniziando a riconoscermi. Oggi posso dire di essere molto fiera di me. Mi sento più forte, una persona migliore». Gessica Notaro ha trovato del buono in una vicenda drammatica che si potrebbe raccontare solo attingendo all’intero repertorio degli aggettivi negativi. 

Lei era una ragazza bellissima, eleganza da passerella e sguardo da copertina. Il 10 gennaio l’ex fidanzato Jorge Edson Tavares ha cercato di spegnerle il sorriso, svuotandole in faccia tutto l’acido contenuto in una bottiglietta di plastica. Da quel momento per Gessica è tutto cambiato. Giorni e giorni in ospedale, le operazioni chirurgiche e la nuova vita. Con una grinta epica e uno straordinario impegno nell’aiutare le altre donne intrappolate nella violenza. Per qualcuno l’ex Miss Romagna è da considerare “Italiana dell’anno” e lei sfrutta l’occasione per ribadire la necessità di approvare una nuova legge che protegga le donne che trovano il coraggio di denunciare. «Io se l’avessi fatto dopo i primi episodi certamente mi sarei salvata».  

JOHN OGAH - Il nigeriano coraggioso che ha disarmato un bandito  
Di far finta di nulla, o di allontanarsi per evitare rischi, John non ci ha pensato neanche un attimo. Ha avuto paura, questo sì. Ma alla fine ha deciso che era il momento di intervenire e fermare quel rapinatore armato di mannaia. «Io ero fuori dal market, come ogni giorno aspettavo che qualcuno mi lasciasse qualche moneta. Quando ho visto che il rapinatore ha tirato fuori un coltello ho capito che non scherzava. Dovevo impedire che facesse male a qualcuno e allora sono entrato nel supermercato. Tutti urlavano e lui aveva il coltello in pugno. Io senza pensarci l’ho afferrato e ci siamo spintonati».  

Le immagini delle telecamere di sorveglianza del market di via Delle Conifere, periferia Est di Roma, il 26 settembre, hanno ripreso la scena e documentato il coraggio di John, fuggito dalla Nigeria nel 2013. Il rapinatore è stato arrestato (e poi condannato) e per il trentunenne fuggito da casa per non essere ucciso da un gruppo criminale, la vita è cambiata solo dal punto di vista legale. Perché quel gesto eroico è servito per avere il permesso di soggiorno ma non per trovare un lavoro. E così John ogni mattina deve tornare davanti al market per chiedere l’elemosina. Se non altro i clienti sono diventati più generosi.  

PAOLO PALUMBO - Il giovane chef con la Sla restituisce i sapori ai malati  
Con quella bestia indomabile che prova a stroncare i sogni tipici di un ragazzino, Paolo discute quasi ogni giorno. Più che un dialogo, è una sfida: «Dici che non potrò liberarmi di te? Solo per ora». Con la grinta tipica di un ventenne, Paolo Palumbo non ha alcuna intenzione di arrendersi. La Sla gli ha già assegnato un record che nessuno mai avrebbe voluto: è lui il più giovane malato d’Italia. Ma mentre la “sclerosi laterale amiotrofica” avanza e immobilizza altre parti del suo corpo, lui reagisce con una forza da attaccante. Ed è questa la sfida: non farsi bloccare dalla malattia. Nonostante i movimenti siano sempre più difficili e per spostarsi sia già necessaria la sedia a rotelle. I progetti di Paolo diventano un esempio, uno stimolo persino per gli scienziati che ora hanno creato un team internazionale che si è dato come obiettivo quello di esaudire il sogno suo e di tanti altri pazienti: studiare la Sla e trovare una cura.  

Dalla sua casa di Oristano, nel frattempo, Paolo si occupa anche di rendere un po’ meno difficile la quotidianità. Non solo la sua. E sfruttando la passione per la cucina, i consigli da chef del papà Marco e l’aiuto del fratello Rosario, si è fatto venire in mente un’idea rivoluzionaria: un tampone che consente ai malati costretti a nutrirsi con un sondino di provare ancora i gusti dei piatti della cucina nostrana. «Si tratta di mettere in produzione un tampone - spiega Paolo - che è una sintesi “chimica” di sapori, attraverso la cucina molecolare. Una volta introdotto in bocca, questo tampone, sprigiona tutti i gusti, ridando gioia a chi anche da decine di anni magari si nutre con un sondino e non può più mangiare naturalmente. Finalmente anche i malati possono finalmente riassaporare la vita». I test fatti al Centro Nemo di Milano hanno dato esito positivo e per capire che l’idea è geniale basta osservare gli occhi lucidi dei pazienti che hanno potuto provare dopo tanto tempo il gusto di una carbonara. Intanto, il messaggio di Paolo è arrivato lontano, persino alle orecchie di Barack Obama. Che a maggio gli ha stretto la mano e assicurato un impegno su cui ora tutti i malati fanno affidamento. Perché loro al suo motto ci credono davvero: «Yes, we can!».  

GIUSEPPE BOVE - Il vigile del fuoco che ha salvato i fratellini di Casamicciola  
Ciro, incastrato tra le macerie della cameretta, non ha smesso neanche un attimo di gridare «tirateci fuori, non ci abbandonate, tirateci fuori da qui». Ad ascoltarlo e a rassicurarlo, stando attento a non far crollare neanche un altro frammento, c’era un vigile del fuoco che aveva deciso di non tradire la promessa fatta Ciro e ai suoi due fratellini. Quell’angelo con il caschetto si chiama Giuseppe Bove e per portare a termine quell'operazione è rimasto in equilibrio per più di 16 ore. Poggiato delicatamente sulla cima di una montagna di macerie.  

All’interno di quel poco che restava di quella casa, nel centro di Casamicciola, c’erano tre bambini di 11, 8 e 7 anni: Ciro, Mattias e Pasquale aspettano abbracciati di rivedere la luce. E ogni tanto gridano: «Non ci fate morire, portateci via da qui». Giuseppe Bove non perde la pazienza e mentre lavora con i suoi colleghi per creare un varco sicuro si preoccupa anche di tenere svegli i tre fratellini. «Siamo arrivati alle 3 del mattino e da quel momento non ci siamo più fermati. Per trovare i bambini abbiamo usato il metodo più semplice: la voce. Li abbiamo chiamati e loro ci hanno risposto. Questo ci ha fatto capire subito che erano vivi e stavano bene. Da quel momento abbiamo lavorato senza tregua per riuscire a trovare uno spazio per raggiungerli e per portarli in salvo. Loro ci imploravano di continuo e continuare a lavorare senza cedere all’emozione è stata la cosa più dura. Ma questa è un’operazione che ha segnato la mia vita».  

FRANCESCA CAPALDO - La poliziotta anti stupratori armata solo della sua parola  
Non parla mai di reati, ma di ascolto, comprensione e fiducia. Non cita le pene e non si porta appresso le manette. Francesca Capaldo è una poliziotta che non ha bisogno della pistola. Perché la sua arma è la parola, costantemente carica di sguardi amorevoli e di parole dolci. Il giubbotto antiproiettile, dunque, non le serve. Eppure, i crimini che ogni giorno deve fronteggiare sono certamente tra i più spregevoli: quelli contro le donne. Il vicequestore Capaldo è il capo della sezione “Violenza di genere” dello Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e ogni giorno lavora dietro le quinte. Senza divisa, alternando la procedura penale a quella dose di dolcezza che serve per aiutare una donna spaventata e umiliata a tirare fuori il coraggio per confidarsi.  

Francesca Capaldo non sta mai sotto i riflettori e le sue operazioni non finiscono mai sulle prime pagine. Ma nei primi giorni di settembre ecco la sua foto su tutti i giornali: quella poliziotta con lo sguardo basso che trattiene Guerlin Butungu per la felpa è proprio lei. Schiva le telecamere, forse avrebbe preferito non passare da quella porta, ma qualche giorno dopo accetta di raccontare quei dieci giorni di lavoro che sono serviti a dare un volto al branco che il 26 agosto si è accanito su una coppietta e su una transessuale sul litorale di Rimini. «Ho provato grande soddisfazione, ma solo per aver reso giustizia a quelle due donne con le quali, io e tutta la squadra, abbiamo passato giorno e notte. Quelli che abbiamo arrestato e che si sono scatenati con grande brutalità, in realtà sono dei ragazzini. Poco più che bambini. In branco hanno agito con spietatezza, ma uno per uno hanno dimostrato di essere mansueti, quasi timidi. L’obiettivo del nostro lavoro non è solo quello di individuare i responsabili dei reati, ma contribuire a portare avanti una piccola rivoluzione culturale, perché sia abbandonata questa concezione arcaica delle donne che ancora vengono trattate come se fossero una proprietà di qualcuno».  

LUX - Il cane-bagnino ha strappato. Caterina alla furia delle onde  
A considerarlo un cane-bagnino sembra quasi di sminuirlo. Perché Lux è molto di più. Non solo perché ha quattro zampe da sfruttare e nuota perfettamente, ma soprattutto perché è capace di fare quello che il più possente e il più coraggioso dei bagnini non potrebbe. Non solo per una questione di forza fisica, ma principalmente di cuore. E l’ha dimostrato il 12 agosto. Verso mezzogiorno, sulla spiaggia delle Saline, a Palinuro, si è sfiorato un dramma assurdo. Caterina, una bambina di 8 anni, nuotava in riva insieme al padre e alla sorellina. A un certo punto è arrivata un’onda più forte delle altre e le due ragazzine si sono ritrovate in balia della corrente.  

Il loro papà non ha perso tempo e ha sfidato la risacca, riuscendo però a riportare a riva solo una delle sue figlie. All’altra, cioè a Caterina, ci ha pensato Lux, un bellissimo labrador nero che discretamente controllava la spiaggia con la divisa della “Scuola cani salvataggio”. Lux è arrivato di corsa e si è tuffato senza esitazioni. E in pochi minuti ha riportato la bambina ai suoi genitori. «Non riuscivamo a farle vincere la paura dei cani - ha raccontato il papà - Da oggi sarà tutto diverso. Questa sarà una seconda vita».  

FEDERICO RAPAZZO - Nel caos di piazza San Carloun soldato batte il panico  
Federico Rapazzo è un militare ben addestrato e quando si è trovato in mezzo a una guerra nel centro della sua città ha avuto la lucidità che ha evitato altre lacrime. Piazza San Carlo, cuore nobile di Torino, 3 giugno. Quel che è successo lo ricordano più o meno tutti, ma di lui in tanti si sono già dimenticati. La Juve quella sera tenta invano di conquistare la Champion’s League e in città in 30 mila seguono la partita sui maxi schermi. Tra la folla, all’improvviso si scatena il panico e tutti fuggono senza che ci sia un pericolo vero.  

Si teme un attentato e tutti cercano di allontanarsi come possono. Erika Pioletti muore in mezzo alla calca, ma il delirio non finisce. Chi perde l’equilibrio si ritrova sommerso da migliaia di persone che in un attimo hanno perso la calma. Federico Rapazzo no: si trova davanti un bambino cinese scaraventato a terra dalla folla e con l’aiuto di un altro ragazzo (un senegalese che ha fatto letteralmente da scudo umano) ha portato in salvo il piccolo Kelvin. Lo ha preso in braccio e consegnato ai volontari del 118. «Se lo avessi lasciato lì sarebbe morto. Avevo tanta paura, ma dovevo fare qualcosa». 

DANIELA MANZITTI - Il gesto d’amore della mamma: fa arrestare il figlio latitante  
«Carissimo figlio mio, l’altra mattina ho fatto qualcosa che una madre non vorrebbe mai fare: ho tradito la cieca fiducia che tu da 24 anni riponevi in me, consegnandoti nelle mani di qualcuno che di te conosce solo il nome e le “bravate”. È stato necessario». Per salvare il proprio figlio ogni madre usa l’arma che può sfruttare con maggiore facilità. E Daniela Manzitti (badante pugliese di 47 anni) ha deciso di denunciare il figlio e farlo arrestare.  

Il suo secondogenito Michael era latitante da 3 mesi e lei il 31 ottobre ha fatto sapere ai carabinieri che l’avrebbero potuto trovare in ospedale, mentre assisteva all’ecografia della compagna in dolce attesa. Michael è uno che è finito in carcere già a 18 anni e qualche mese fa è evaso dai domiciliari, mentre scontava una condanna per rapina e spaccio. «L’ho fatto arrestare per sottrarlo alle cattive compagnie. Per il suo bene, eppure lui ora mi odia».  

ILARIA BIDINI - La ragazza che umiliai bulli dei social network  
Riscrivere qui, oggi, gli insulti che per mesi hanno offeso e umiliato Ilaria Bidini serve solo a dimostrare che lei è stata davvero forte più di una roccia. «Nana, deforme, fai schifo: non ti guardi allo specchio? Sei la miss bruttezza di Arezzo. Ogni volta che passi noi facciamo gli scongiuri». Queste, nella valanga della malvagità che sui social supera tutti gli argini, sono solo le frasi più eleganti. Perché il resto è tutto davvero irripetibile. Ma Ilaria non si è persa d’animo: all’inizio non aveva tanta voglia di gridare, ma ha tirato fuori la forza di un pugile. I cyber-bulli che ogni giorno le scrivevano qualunque tipo di cattiveria avevano solo l’obiettivo di farle del male.  

Di piegare anche nell’animo una ragazza che fin dalla nascita si è ritrovata un corpo più debole degli altri. Ma l’obiettivo dei vigliacchi è naufragato malamente. Perché Ilaria si è piazzata di fronte a una telecamera, seduta sulla sua sedia a rotelle, e a voce alta ha letto riga per riga tutti i messaggi ricevuti negli ultimi mesi. Qualcuno è stato denunciato e lei è diventata la consulente di tante ragazze che ogni giorno fanno i conti con la malvagità del cyber-bullismo...

(La Stampa Italia)

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