Hannah e Adnan: i due fotografi che hanno smesso di scattare per salvare la rifugiata Rohingya...
L’ultima foto scattata da Hannah McKay prima diaiutare la donna in
difficolta’, A sinistra il braccio del suo collega: la cinghia che sostiene la
macchina fotografica e’ a terra (reuters)
L’immagine del fotoreporter che lascia la sua macchina per aiutare una
profuga Rohingya in fuga dal Myanmar rilancia l’eterna questione dei
giornalisti al bivio fra testimonianza e soccorso. È la storia di Adnan Abidi e
Hannah McKay, due fotografi della Reuters. McKay era al suo primo
reportage, inviata dall'agenzia fotografica in Bangladesh, per coprire con i
suoi scatti il dramma dei Rohingya.
FOTOREPORTAGE Gli scatti migliori di Hannah McKay e Adnan Abidi
"A distanza - racconta McCay - vedevamo un gruppo enorme di persone. Ma non si muovevano. Erano le 4 del pomeriggio. Restavano solo due ore di luce. Così ci siamo avvicinati. Ci abbiamo messo un'ora ad arrivare, passando anche i controlli di una guardi di frontiera. Ci siamo resi contro che stava succedendo qualcosa. Ci siamo avvicinati e allora li abbiamo visti. Centinaia di rifugiati che attraversavano il fiume, tre metri più giù di dove eravamo noi. Era un passaggio non-stop, persone e persone, senza una fine. Alcuni aveva dei bambini in braccio. Anziani a braccetto con persone più giovani che attraversavano l'acqua e il fango, fino al ginocchio. Li stavamo fotografando quando è apparsa questa donna. Doveva superare i tre metri di dislivello che la separavano da noi, aveva finito di attraversare il fiume. Ma era esausta. Non ce la faceva più. Due uomini stavano cercando di spingerla verso l'alto. A quel punto abbiamo deciso di aiutarli. Un altro fotografo Reuters, Adnan Abidi, l'ha presa per mano. Un altro fotografo ancora ha preso l'altra".
Hannah ha scattato finché non è dovuta intervenire: "Ho preso la sua gamba, appena era raggiungibile. L'abbiamo trascita su. Lei è stata sdraiata lì per qualche minuto e poi non ho idea di cosa le sia successo. Intorno a noi era il caos".
Poco dopo anche Hannah, che era scesa per continuare il suo lavoro e fare altri scatti, si è trovata di sotto e non sapeva come risalire. A quel punto due rifugiati le hanno teso la mano e l'hanno aiutata. "Gli ho detto 'thank you', ma non capivano. Solo allora ho ripensato alla donna che abbiamo tirato fuori. Tu sei lì che cerchi di fare il tuo lavoro, con la camera in mano. Poi il tuo cuore ribalta le regole che ti detta la testa. Senti sempre parlare della disperazione dei rifugiati. Ma vederlo è tutta un'altra cosa".
FOTOREPORTAGE Gli scatti migliori di Hannah McKay e Adnan Abidi
"A distanza - racconta McCay - vedevamo un gruppo enorme di persone. Ma non si muovevano. Erano le 4 del pomeriggio. Restavano solo due ore di luce. Così ci siamo avvicinati. Ci abbiamo messo un'ora ad arrivare, passando anche i controlli di una guardi di frontiera. Ci siamo resi contro che stava succedendo qualcosa. Ci siamo avvicinati e allora li abbiamo visti. Centinaia di rifugiati che attraversavano il fiume, tre metri più giù di dove eravamo noi. Era un passaggio non-stop, persone e persone, senza una fine. Alcuni aveva dei bambini in braccio. Anziani a braccetto con persone più giovani che attraversavano l'acqua e il fango, fino al ginocchio. Li stavamo fotografando quando è apparsa questa donna. Doveva superare i tre metri di dislivello che la separavano da noi, aveva finito di attraversare il fiume. Ma era esausta. Non ce la faceva più. Due uomini stavano cercando di spingerla verso l'alto. A quel punto abbiamo deciso di aiutarli. Un altro fotografo Reuters, Adnan Abidi, l'ha presa per mano. Un altro fotografo ancora ha preso l'altra".
Hannah ha scattato finché non è dovuta intervenire: "Ho preso la sua gamba, appena era raggiungibile. L'abbiamo trascita su. Lei è stata sdraiata lì per qualche minuto e poi non ho idea di cosa le sia successo. Intorno a noi era il caos".
Poco dopo anche Hannah, che era scesa per continuare il suo lavoro e fare altri scatti, si è trovata di sotto e non sapeva come risalire. A quel punto due rifugiati le hanno teso la mano e l'hanno aiutata. "Gli ho detto 'thank you', ma non capivano. Solo allora ho ripensato alla donna che abbiamo tirato fuori. Tu sei lì che cerchi di fare il tuo lavoro, con la camera in mano. Poi il tuo cuore ribalta le regole che ti detta la testa. Senti sempre parlare della disperazione dei rifugiati. Ma vederlo è tutta un'altra cosa".
Su Repubblica in edicola una riflessione di Michele Smargiassi sul tema 'Aiutare o scattare'...
(Repubblica.it)
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