"Pietro è sempre al mio fianco": la lunga corsa di un papà per cercare il senso di una perdita...
Nel 2010 una malattia porta via il figlio di sei anni a Roberto Andreoli che da allora riesce a guardare avanti anche grazie al running: dalla Namibia all'Oman, centinaia di chilometri per raccogliere fondi per una onlus. "Non credo di essere un altruista. Sono solo un egoista mascherato che si preoccupa degli altri per attenuare il proprio dolore"
di ENRICO AIELLOMILANO - Inutile girarci intorno, l'inizio di questa storia è un pugno in faccia capace di mandare al tappeto chiunque. Ci sono un papà (ma anche una mamma e un fratellino) a cui una malformazione artero venosa - una vigliacca brava a prendersela con i più piccoli - nel 2010 porta via Pietro, che ha solo sei anni. Ce ne sarebbe abbastanza per chiudersi a chiave dentro un dolore infinito e non uscirne mai più. Oltretutto questo papà, che si chiama Roberto Andreoli, è milanese, ha 40 anni ed è un manager di Microsoft, fino ad allora ha vissuto la classica vita sedentaria: ufficio, sigarette, riunioni, zero attività fisica. E 115 chili da portarsi dietro.
Se non che, a dimostrazione di come anche da una tragedia può nascere qualcosa di buono, ad un certo punto scatta qualcosa e, grazie a quello che potremmo definire il lascito di Pietro, le priorità di Roberto iniziano a cambiare: "Ho cominciato a chiedermi se stessi vivendo in modo giusto ogni singolo minuto e che senso avesse essere totalmente assorbito dal lavoro trascurando la famiglia. D'un tratto mi è apparso chiaro come non mi stessi interessando molto degli altri e, in fondo, nemmeno di me stesso. Oggi non credo affatto di essere perfetto, ma per lo meno mi pongo il problema, se il caso 'raddrizzando la barrà quotidianamente".
Così, nel 2012 Roberto inizia a correre, con Pietro di fianco, in un certo senso. Dapprima l'approccio è quello tipico: per la sensazione di benessere che produce, per perdere peso, gratificato dall'immediatezza con cui puoi farlo, sempre e ovunque. "Per me che viaggio spesso all'estero è stata una scoperta. In valigia ho sempre un paio di scarpette e quando posso anziché passare la serata in hotel o al ristorante preferisco visitare la città correndo. E poi, a costo di sembrare retorico, mi è parsa da subito un ottima metafora della vita: pensi di essere invincibile e magari dopo cinque chilometri ti trovi a fare i conti con un imprevisto che vorrebbe fermarti. A quel punto impari molte cose su chi sei veramente".
Arriva anche la parte più prettamente competitiva con le prime garette, poi le mezze e, infine, diverse maratone. Pur non disdegnando le corse su strada oggi però Roberto è meno attratto dal cronometro e più dal contesto. "Correre in un bosco o nel deserto, ti fa capire che sei una 'caccolinà nell'universo; prenderne atto non è poi così scontato". A far scattare la scintilla del running in natura, una gara nel deserto in Namibia, il cui ricordo più struggente è stato sicuramente l'arrivo, quando tutti i concorrenti gli si sono simbolicamente stretti intorno. Il prossimo novembre Andreoli sarà in Oman a correre un'ultramaratona da 165 chilometri in sei tappe e in autosufficienza alimentare. "Stavolta sarà più dura, un po' per la gestione del cibo a cui devo prendere bene le misure, un po' da quando ho scoperto che nell'elenco dei materiali obbligatori c'è la pompa aspira-veleno, nell'eventualità che a un serpente venga in mente di entrarmi in tenda di notte".
Alle sue imprese il manager milanese (che nel frattempo ha perso 40 chili) abbina sempre un fine benefico. Da anni si impegna nel raccogliere fondi per Una, la Onlus fondata da Raffaele Gerbi (genitore-triatleta, che ha a sua volta perso un figlio di tre anni per lo stesso male, ndr). "Anche se non sono sicuro di essere davvero un altruista", ammette. "Forse sono solo un egoista mascherato, uno che si preoccupa degli altri solo per attenuare il proprio dolore". Fatto sta che grazie al tam-tam sui social i suoi progetti ricevono l'appoggio di tanta gente, oltre ad accendere l'attenzione di diversi media disposti a dargli visibiità e marchi sportivi pronti a collaborare fornendogli materiali e supporto.
E il vero protagonista di questa storia, Pietro? Per Roberto - che ha la forza di parlarne con un sorriso - lui è sempre presente, a vigilare che tutto vada per il meglio. La loro è un'impresa in coppia: è sul logo apposto su tutto quello che riguarda le sue imprese, è tatuato (letteralmente) sulla sua pelle e torna in ballo ogni volta che c'è da calcolare i chilometri da percorrere, che lui moltiplica sempre per due. Dopo la sua perdita in famiglia sono arrivati
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