Lettera al mio molestatore...




Noorjahan Akbar ha deciso di scrivere pubblicamente al suo aggressore




Caro signore, io non conosco il suo nome, ma è passato accanto a me una settimana dopo l’Eid-ul-Fetr, nel bazar di Kabul.
Potrebbe ricordarsi di me. Ero la giovane donna che indossava una sciarpa bianca, una lunga tunica rossa ricamata e dei pantaloni scuri. Ero in piedi vicino a una bancarella di ortaggi e stavo contrattando il prezzo della menta fresca quando lei mi è passato accanto e, con nonchalance, mi ha pizzicato il sedere.
Io sono arrossita. Il vecchio signore che vendeva gli ortaggi se n’è accorto, ma non ha detto nulla. Probabilmente vede scene di questo tipo ogni giorno. Anche a me è successo più di una volta, ma in questo caso mi sono sentita più imbarazzata perché il signore anziano l’aveva notato.
Io, signore, l’ho rincorsa e l’ho afferrata per il polso. Spaventata e ancora sudata, ho iniziato a urlare. “Perché l’ha fatto? Come si permette? Si comporta così anche a casa con i suoi familiari?”.
E lei, signore, ha cominciato a urlarmi contro ancora più forte. “Tu sei pazza! Io non ho fatto niente. Non vale la pena nemmeno avvicinarsi a una come te”.
Ero troppo imbarazzata per raccontare alla gente quello che lei mi aveva fatto. Probabilmente, lei ricorda ancora come ci guardavano. Altre donne mi hanno consigliato di mantenere la calma, avvertendomi che questo scandalo sarebbe servito solo a rovinare la mia reputazione, ma io non avevo intenzione di mollare in quel momento.
Ho iniziato a urlare. Ben presto è arrivata la polizia e ci ha portato entrambi in centrale. Un uomo alto in uniforme mi ha chiesto cosa fosse successo. Gliel’ho raccontato. Lei, signore, ha provato a replicare, ma l’ufficiale di polizia le ha sbraitato contro. “Tu, stai zitto!”.
Poi, ricordo che il poliziotto ha cominciato a picchiarla, signore. Lei era rannicchiato sul pavimento e l’agente la prendeva a calci con le sue scarpe gigantesche. Il sudore gli colava sulle folte sopracciglia. Doveva essere molto arrabbiato, tanto quanto lo ero io.
Non la ho mai più rivista, signore, ma l’amico che camminava al suo fianco mi ha seguita fino a casa. Mi ha detto: “Qual è il problema?! Non ti ha mica stuprata”. Ma ero troppo stanca per affrontare un secondo litigio quel giorno.
Lei e il suo amico, signore, probabilmente sostenete entrambi di essere musulmani. Verosimilmente anche lei, signore, prega alla moschea ogni venerdì, o più spesso.
Probabilmente dite alle vostre mogli che non devono uscire di casa perché il mondo lì fuori è pieno di uomini orribili che saranno la loro disgrazia. Probabilmente lei, signore, crede anche di avere il diritto di toccare il mio sedere perché pensa che una donna “per bene” non dovrebbe mai uscire in strada senza un uomo.
Le sue sorelle, signore, sono donne “per bene”. Restano a casa quando lei le costringe a farlo. Se anche io fossi una donna “per bene”, farei lo stesso. Le strade appartengono agli uomini.
Signore, le scrivo questa lettera per dirle che non ho mai voluto che lei venisse picchiato e umiliato, anche se non sono dispiaciuta per aver parlato.
Le scrivo per dirle che so cosa sta facendo. Vuole minacciarmi, farmi paura e tenermi zitta e chiusa in casa, dove imparerò ad accudire tanti bambini e a cucinare il cibo per persone come lei, signore, e a essere sottomessa all’uomo che un giorno potrebbe sposarmi.
Lei vuole che io sia terrorizzata dal mondo esterno e che non trovi la mia strada e la mia dimensione in esso. Vuole farmi credere che l’unico posto sicuro e “decoroso” per me sia in cucina e nella camera da letto. Ma le sto scrivendo per dirle che io non ci cascherò più.
Né lei, signore, né i talebani, né questo governo, né mio fratello o mia madre, né nessun altro mi può convincere che io sia da meno di un uomo, che non possa difendermi, che non possa essere quello che voglio, e che la migliore prospettiva di vita per me sia in una cucina “sicura” nella quale un uomo o una suocera hanno il controllo su ogni mio movimento. Io non lo accetto questo. Mai più.
Uscirò di casa ogni giorno e camminerò coraggiosamente per le strade della mia città, non perché ne ho bisogno, ma perché posso, e né le sue molestie, signore, o la sua violenza sessuale – né un governo oppressivo -, riuscirete mai più a negarmelo.
Con disobbedienza,
una donna che hai molestato.

Pubblichiamo la lettera di Noorjahan Akbar, attivista afghana e corrispondente di Safe World for Women, una Ong per i diritti delle donne. Ha deciso di raccontare la sua testimonianza a The Post Internazionale. Dal blogdi Noorjahan Akbar

Commenti

AIUTIAMO I BAMBINI DELLA SCUOLA DI AL HIKMA

Post più popolari

facebook