Bikini o burkini non solo battaglia di libertà, ma di difesa della donna...
In Algeria e Tunisia, sta spirando sempre più forte il vento della restaurazione, vorrebbero cancellare decenni di parità di genere
Diego Minuti
Quanto sta accadendo in questi giorni in Algeria (centinaia di donne sono andate sulla spiaggia turistica di Annaba indossando il bikini come forma di protesta contro le frange musulmane integraliste che vorrebbero vietarlo) non è solo una battaglia per la libertà di scelta della donna nel mondo islamico. Perché, paradossalmente, pur se è pur sempre vero che parliamo di un indumento che si indossa al mare, è una battaglia in difesa della donna che il rigurgito del radicalismo islamico vorrebbe sempre più emarginare, relegandola solo al ruolo di sacerdotessa del desco familiare e null'altro. I Paesi del Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto), tutti rigorosamente islamici – pur se le Costituzioni algerina e tunisina non parlano di Stato islamico, ovvero formalmente non riconoscono la preponderanza della religione sull'ordinamento civile, perché questo passaggio imporrebbe anche l'adozione della sharija – sono sulla carta rispettosi del ruolo della donna nella società, ribadendo la parità di genere e quindi la possibilità di accedere ad esempio al mondo della politica e della finanza, quasi esclusivamente al maschile. Ma sono cose che dalla teoria rischiano di trovare enormi difficoltà a passare alla pratica perché anche in Paesi a forte cultura laica, come appunto Algeria e Tunisia, sta spirando sempre più forte il vento della restaurazione, ovvero di chi vorrebbe che decenni di parità di genere venissero cancellati dalle consuetudini delle società islamiche e, per esse, da formazioni politiche o movimenti religiosi che si rifanno a posizioni sociali di retroguardia. Scendere in spiaggia in bikini dovrebbe essere una cosa normalissima, ma le 'ronde' islamiche ormai fanno quel che vogliono, nell'inanità delle forze di polizia, ma rivolgono le loro attenzioni solo alle donne ''locali'' e non invece alle turiste che, a rigore di logica, se mostrano porzioni del loro corpo lasciate libere dal bikini, offenderebbero egualmente la morale musulmana. Un atteggiamento retrivo che però sta facendo sempre più proseliti (e mai definizione fu più azzeccata) perché si parla di oltranzisti religiosi, con un basso grado di cultura e di conseguenza con grande permeabilità a lavaggi del cervello, quali quelli dei tanti predicatori estremisti sunniti.
Non c'è alcuna differenza tra la pubblicazione sui social delle immagini di donne che 'osano' mostrarsi in pubblico con spalle, ventre e gambe scoperte ed il pubblico ludibrio della gogna medioevale. Solo che, finita l'esposizione alla gogna, il presunto colpevole espiava la sua pena pubblica; con le immagini sui social la condanna virtuale sopravvive a se stessa, nei secoli dei secoli.
Anche il civilissimo Marocco della regina Lalla Salma (che tanto sta facendo per modernizzare il regno) non è immune dai rigurgiti radicali. Nel recente passato due ragazze, che lavoravano in un centro commerciale di Casablanca, furono perseguitate e anche peggio perché indossavano abiti di foggia occidentale ritenuti troppo discinti da un gruppo di ignoranti ragazzotti imbevuti di radicalismo.
Se nel Nord Africa dovesse passare il principio che le donne non possono andare vestite come vogliono, il domani potrebbe riservare loro altre e più umilianti restrizioni, con buona pace dei costituenti che, ispirandosi ai Paesi europei illuminati (la Francia per motivi legati alla sua presenza in Nord Africa, ma anche l'Italia), hanno cercato di tutelare tutti - uomini e donne - allo stesso modo, declinando anche al femminile le tutele sociali. Il passo tra la normalità e i divieti è, purtroppo molto breve e, insieme, pericolosissimo. Per chi ritiene la donna solo carne da letto, con il solo compito di fare figli e salvaguardare il bilancio familiare, anche solo indossare un castigato bikini è un atto di ribellione e per questo da punire. Oggi con le offese (quale è la pubblicazione di una immagine rubata), domani con chissà cosa...
(Globalist)
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