Palestina, cosa sta lasciando la guerra nella mente dei bambini...
(ph: Antonietta Chiodo)
di Antonietta Chiodo
Questo viaggio è stato forse il più duro e complesso a
livello psicofisico che mi ha vista come reporter impegnata in medio oriente,
sono stati novanta giorni politico sociali estremamente difficili a causa anche
della situazione mondiale che ha visto coinvolto non solo il mondo arabo ma
l’intero globo geo politico concentrato tra guerre e risoluzioni mai avvenute
in questi ultimi mesi. Il periodo compreso tra giugno e luglio ha visto la Palestina
coinvolta nello sciopero dei detenuti palestinesi per poter dare vita ai propri
diritti nelle carceri portandoli quasi ad un passo dalla morte, mentre i media
mondiali raccontavano cosa potesse accadere negli uffici di rappresentanza, i
bambini come animali nelle strade lanciati al loro destino combattevano con
pietre e molotov contro militari armati di tutto punto. Per comprendere al
meglio cosa stia realmente accadendo siamo tenuti a confrontarci con
i giovani di questi territori e soffermarci su cosa si nasconda realmente
dietro il loro coraggio, di fatti è ciò che mi sono impegnata a fare nei giorni
passati. Mi sono prestata in numerose situazioni
di tensione vissute attraverso i reportage a documentare attraverso gli scontri
con i miei occhi di come la stessa polizia palestinese sia giornalmente assente
nella tutela dei minori e di come la stessa popolazione abbia perso la fiducia
nei confronti del governo in carica. Si resta sgradevolmente colpiti nel notare
che durante le rappresaglie i bambini vengano lasciati soli dalle proprie
famiglie affermando così la possibilità di un futuro martire e creando la
possibilità di una popolazione di piccoli guerrieri, nei giorni che ha visto
l’arresto di numerosi minori di età compresa tra i 12 ed i 16 anni casualmente
le automobili di sorveglianza dell’ANP non furono mai presenti ne per la tutela
tantomeno per l’eventuale possibilità di sedare i dissensi, latitante inoltre
la presenza di adulti nelle strade per monitorare la situazione. Molti sono stati
i feriti in quei giorni di cui come descrissi nei miei reportage precedenti nei
mesi scorsi anche numerosi i turisti coinvolti alloggiati negli alberghi nei
pressi di Aida camp, Betlemme. I danni riportati da noi giornalisti e reporter
a causa dei gas chimici lanciati a distanza ravvicinata dai militari israeliani
ci hanno spesso obbligati a doverci nascondere in luoghi di fortuna, mentre i
bambini assuefatti a questa evenienza si prestavano a diminuire il dolore che
provocavano sulla nostra pelle, sedando quella sensazione di lacerazioni
violente sia sulla pelle che negli occhi. Presumo sia bene chiarire che nel
momento in cui si venga a contatto con questo tipo di sostanze risulti quasi impossibile
continuare il proprio lavoro sul campo, a causa dell’impossibilità di recuperare la vista in
breve tempo a causa inoltre del veloce spostamento delle polveri nell’aria che
sembrano correre più veloci delle nostre stesse gambe. Quasi quaranta giorni dopo
l’inizio degli scontri la West Bank palestinese accolse l’arrivo di Trump, la
stessa mattina uscii di casa trovando il mio portone accerchiato da militari di
sorveglianza sia israeliani che palestinesi e dalla security dell’
amministrazione locale, centinaia erano infatti i militari impegnati nel blocco
delle le strade con mezzi di fortuna obbligandoci così a percorrere a piedi
strade secondarie. Numerosi i bambini impegnati ad osservare il
teatrino allestito per il presidente degli stati uniti, sorridendo come fosse
una giornata come le altre e seguendo gli stranieri ed i giornalisti nella
speranza di vendere qualche calamita con il logo della Palestina o braccialetti
riportanti la bandiera tanto amata.
Questa breve descrizione dovrebbe lasciare comprendere come ancora
oggi ci troviamo di fronte non ad un semplice problema geopolitico, ma ad un
vero e proprio modificarsi della psiche nell’istinto di sopravvivenza delle
generazioni future, ciò che a noi potrebbe sembrare assurdo ed insostenibile ha
portato in realtà queste popolazioni ad un abituarsi al danno, non solo dell’ambiente
circostante ma ad un personale modificarsi in breve termine nel modo di concepire
le situazioni, adattandosi così ogni giorno in ciò che per loro è una evidente
normalità. Dobbiamo quindi renderci conto che non sarà fermando le guerre che
tutto cambierà, perché da come vi farò comprendere attraverso le domande poste
a Mohammed cosa loro vedono nel futuro e come sotto quei sorrisi e quell’aria
da adolescenti vivono in realtà le loro paure.
Mohammed ha 17 anni, un ragazzo alto e curato nell’aspetto,
indossa una camicia bianca e dei jeans, il suo viso dai lineamenti dolci e
dalla carnagione dorata è decorato da una barba leggermente incolta incorniciando
un sorriso da bambino, perché è grazie a quel sorriso ed alle sue dolci parole
nei miei confronti che mi accorgo immediatamente di come sia stato obbligato a
crescere in fretta.
Potresti raccontarci
che cosa è per te la paura e quali siano i momenti in cui lei viene a trovarti?
Io dormo poco la notte, la notte sogno continuamente di
essere portato via ed ho come la sensazione che qualcuno stia entrando nella
mia casa. Questo villaggio è continuamente attaccato dai militari ed ho perso
alcuni amici solo per avere lanciato delle pietre, quasi tutti noi abbiamo un
martire in famiglia e neanche di giorno mentre andiamo a scuola possiamo
restare realmente tranquilli.
Perché proprio di
notte le tue paure ti cadono addosso e non quando attraversi una strada?
Perché viene staccata l’elettricità nelle strade, tutte le
notti, questo significa che loro, avendo una torretta di sorveglianza con i
fari puntati sulle nostre case riescono a tenerci sotto controllo più di quanto
possiamo fare noi, mentre io se mi affaccio alla finestra dopo avere sentito un
rumore vengo avvolto dal buio. Questa sensazione mi porta a restare nascosto
sotto le coperte e sentire il mio cuore battere veloce, sino a quando finalmente
mi addormento per la troppa stanchezza.
Credi che un ragazzo
occidentale possa comprendere cosa provi?
Sono poche le notizie che mi arrivano dall’estero e non
conosco ragazzi del tuo paese, so però che loro hanno paura di noi. Io sono un
ragazzo come gli altri, leggo il Corano è vero, ma amo stare con i miei amici e
come i miei amici sogno un giorno la libertà del mio paese, sogno di sposarmi e
avere dei bambini, un lavoro che mi renda felice e nient’altro, quelle cose che
per voi sono semplici per me sono la vita.
Cosa ti manca
innanzitutto?
La libertà, anche se non ho i soldi per poter viaggiare ora,
vorrei avere diritto ai miei documenti, avere un passaporto come tutte le
persone che abitano questo mondo, io sono un essere umano, non ho avuto ancora
il tempo di fare male a qualcuno che sono già stato condannato. Questo non è
giusto, non è umano...
Commenti