A Manchester colpiti i più giovani per aumentare le paure degli adulti...




Tanto più bassa è l'età di chi è morto, tanto più alto è l'impatto mediatico ed emozionale che l'evento provoca.



Diego Minuti

Il terrore non ha soglie: è la paura assoluta, è l'angoscia che ti azzanna alla gola anche se speri che il pericolo sia lontano o che, magari, se lo hai già conosciuto, esso non possa raggiungerti. Ma chi sul terrore basa le sue strategie ha l'obiettivo primario di fare montare la paura che non si può fermare per farle raggiungere livelli di parossismo altrimenti sconosciuti. E lo fa, come racconta la cronaca di queste ore da Manchester, colpendo durante un concerto pop i più giovani, i ragazzi, coloro sui quali una società poggia le sue speranze per il futuro. Il titolo di un film dei primi anni '90, diretto da Curtis Hanson, recita che è la mano sulla culla quella che governa il mondo. Il terrorismo islamico quella mano, seppure ideale, intende mozzarla, colpendo i più giovani nella consapevolezza che niente scuote di più l'animo della gente che assistere alla morte violenta di un bambino, quasi che ci possa essere una classifica emozionale delle morti indotte da mano altrui.
L'immagine del piccolo curdo Aylan, annegato a tre anni nel 2015 davanti alla spiaggia turistica turca di Bodrun, ha scosso le coscienze civili di quasi tutto il mondo (quasi, perché anche in casa nostra c'è chi sembra non vedere i drammi che si nascondono dietro l'emigrazione che sfugge alle guerre) molto più che le notizie, che pure giungono quotidianamente e che parlano di altri bimbi morti, ma che sono sfuggiti all'algido obiettivo di un fotografo.
Anche se l'epilogo non è stato drammatico come per Aylan, lo stesso è accaduto per Omran Daqneesh, il bimbo siriano di cinque anni fotografato su un'ambulanza ancora coperto della polvere sprigionata dal crollo della sua casa, caduta sotto le bombe. Omran, nello scatto, sembra calmissimo, quasi mostrando una fierezza che forse non gli appartiene vista la sua età, nonostante il pericolo cui è appena scampato, ma è solo l'effetto dello shock, al quale chissà quando riuscirà a mettere la parola fine. Tutti hanno guardato con emozione quella fotografia, non pensando che nello stesso attacco ci sono stati morti, ed alcuni erano giovanissimi, ma nessuno dei quali è stato ritratto in una immagine.
Le guerre hanno causato tantissime morti di bambini e ragazzi, ma nessuna parola, seppure mirabilmente scritta, colpisce la gente comune come una foto, magari tecnicamente imperfetta, ma che ha cristallizzato la drammaticità dell'accaduto. La querelle sul rumore che provoca un albero che, senza testimoni, cade in una foresta è vecchissima, ma coglie nel segno. Ai tanti che hanno speso lacrime nel leggere le pagine che raccontano l'Olocausto o, su un altro versante, la strage del villaggio palestinese di Deir Yassin fanno da contraltare i molti di più che, davanti alle foto di bimbi uccisi, si sono commossi sentendosi (finalmente) coinvolti.
La strage di Manchester segue il solco della pratica del terrore che la jihad propugna ormai da decenni, ma che, con l'avvento dell'Isis e di coloro che, in seno al califfato, pianificano le azioni, sta raggiungendo vette di raffinata crudeltà. L'età delle vittime dell'arena mancuniana è, da un punto di vista dell'analisi, un elemento che chi ha cercato la strage ha valutato benissimo. Tanto più bassa è l'età di chi è morto, tanto più alto è l'impatto mediatico ed emozionale che l'evento provoca. E, con esso, cresce la paura generalizzata, quella che non è legata al particolare, ma che si alimenta per il fatto stesso di essere stata provocata. Da oggi, Manchester diventerà, per l'Isis ed i suoi esegeti, un punto fermo, dal momento che segnerà un ennesimo confine valicato, quello della cercata mancata distinzione di categorie in seno ai cosiddetti ''nemici''.
Perché in un attacco possono essere massacrati cento soldati, ma se muore anche solo un bambino è a lui che tutti penseranno. E' crudele dirlo, forse cinico, ma è una elaborazione che chi conosce i meccanismi della comunicazione e quelli della percezione generale di un evento conosce benissimo.
I più giovani non sono solo un bersaglio, ma costituiscono, appunto perché ''indifesi'', un elemento destinato ad incrinare le certezze dei genitori che, vedendo colpiti coloro che li seguiranno nella ruota nella vita, avranno paura, in modo certamente diverso caso per caso, ma avranno comunque paura. E questa è, purtroppo, una vittoria per chi, creando la paura, incrina le certezze di chi, come noi, crede in valori che si tramandano di padre in figlio e nei quali non ha ragione d'essere l'offesa alle altrui convinzioni...

(Globalist)

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