Medio Oriente ‘russizzato’: ecco come Mosca colma i vuoti lasciati dagli Stati Uniti. E stringe patti con Turchia e Iran...
Siria e Aleppo ma non solo. L'ascesa della Russia nel mondo arabo passa anche per altre città: da Bengasi, in Libia, fino ai salotti del Cairo, tornando a Teheran. Gli arabi stanno sostituendo il vecchio nemico "stelle e strisce" con quello russo. Per Vittorio Parsi, docente di relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano, la soluzione è "smettere di cercare di controllare dall'esterno la vita di questi popoli: perché reagiranno violentemente"
di Shady Hamadi
“Ringraziamo il poliziotto turco che ha ucciso l’ambasciatore russo”. Così esultano, in uno dei video diffusi sulla rete il 19 dicembre, due ragazzi a Tripoli, in Libano, mentre offrono dolci ai passanti, festeggiando il colpo al “nemico russo”. Scene analoghe si sono verificate in diverse località del medioriente, con civili (non ascrivibili a gruppi fondamentalisti)festanti. Manifestazioni che ricorda quelle di giubilo quando a finire nel mirino erano gli americani, dopo le guerre statunitensi dall’Iraq in poi. Ma oggi, pare che la Russia abbia preso, nell’immaginario arabo, il posto del vecchio “nemico a stelle e strisce”. “E’ vero – dice il professore Vittorio Parsi, docente di relazioni internazionali all’Università Cattolica diMilano, al telefono con ilfattoquotidiano.it -, penso che in qualche misura l’influenza russa del medioriente ci sia stata in tutto il 2016”. Il giorno dopo l’uccisione dell’ambasciatore Andrey Karlov, lunedì 19 dicembre, definita da Putin una “chiara provocazione”, a Mosca i ministri degli esteri iraniano e turco hanno incontrato il loro omologo russo, Sergei Lavrov. Al termine della riunione, Lavrov ha annunciato la nascita di una “Troika” formata da questi tre paesi che, ha aggiunto, “è lo strumento più efficace per risolvere la crisi siriana”. Ieri, giovedì 29 dicembre,Putin ha annunciato il cessate il fuoco in Siria, raccogliendo il plauso della Turchia membro di questa coalizione. Proprio il 1 dicembre scorso sono state approvate dalla Duma le linee guida in politica estera, il cui punto saliente è “la creazione di un’ampia coalizione contro il terrorismo”.
Ma questa “troika non rappresenta una soluzione per la Siria – spiega Parsi. E’ una coalizione schiacciata su Assad e non tiene conto degli interlocutori in campo”. Poi, evidenzia il professore, “c’è un punto sottovalutato dagli osservatori: da questo accordo non si capisce qual è l’interesse dell’Iran a lasciare che la Russia diventi il nuovo gendarme di quello che considera il suo giardino di casa. Perché Teheran dovrebbe accantonare un quarto di secolo di politica estera, nei confronti della Siria, del Libano a vantaggio della Russia?”
Segnali di dissidi fra Mosca e Teheran si sono registrati ad AleppoL’accordo per l’evacuazione della città, mediato dalla Russia e della Turchia, fu fatto saltare proprio dagli iraniani quando i ribelli vietarono ai civili dei villaggi di Kafraya e al-Foùa, a maggioranza sciita, di abbandonare le località. Ma non solo. Secondo Ibrahim Hamidi, editorialista del quotidiano panarabo al Hayath, l’intervento russo in Siria, nel settembre del 2015, può essere letto come una mossa per contenere l’alleato. “L’Iran può contare su milizie sciite – scrive il giornalista del quotidiano panarabo – in tutto il medioriente che lo rendono un attore regionale fondamentale. Per questo la Russia è impegnata in una competizione tacita con Teheran, in cui tenta di rafforzare il suo tradizionale rapporto con le forze del regime siriano, fornendo armi, attrezzature e esperti per evitare il collasso delle istituzioni di governo; e di essere in grado di far fronte alle milizie sciite che perseguono un sistema politico sia islamico che moderato”. Un matrimonio di convenienza per entrambi. “ Gli iraniani – evidenzia Parsi – dissimulano. Non si mettono apertamente contro la Russia o la Turchia. E’ chiaro che sedersi accanto ai due attori che stanno al tavolo di quella che è la Siria è un vantaggio, nella consapevolezza di non poter lasciare che il paese venga sfilato dalla loro influenza”. Ma se da una parte ci sono tensioni politiche, dall’altro c’è una cooperazione economica che serve a sostenere i costi del loro intervento. Il 3 dicembre 2015, è stato firmato un memorandum d’intesa del valore di circa 2,2 miliardi di dollari fra il ministero iraniano del petrolio e il colosso petrolifero russo Gazprom, per lo sviluppo dei giacimenti di Cheshme Khosh e Changouleh, entrambi situati nell’ovest della Repubblica islamica. Ultimo accordo di una strategia petrolifera collaudata. “La maggior parte dei giacimenti petroliferi iraniani è in fase di sviluppo da parte di imprese russe” ha detto il ministro iraniano del petrolio, Bijan Zangeneh, incontrando a Teheran il ministro russo dell’Energia, Alexander Novak, in occasione della firma di due nuovi accordi tra l’Iranian central oil fields company (Icofc)
Anche l’Egitto sembra essere diventato un partner strategico per PutinIl 10 febbraio 2015, al Sisi ha annunciato la firma per la creazione di una zona di libero scambio fra il suo paese e l’Unione economica euroasiatica. Ma il sostegno economico al Cairo, passa anche da accordi bilaterali. In un’intervista a al Haram, quotidiano egiziano, Putin ha detto “siamo pronti ad adottarlo nelle nostre relazioni con l’Egitto” l’uso della moneta locale nelle relazioni bilaterali, a danno del dollaro. ma nonostante questi sforzi, economicamente, l’Egitto rimane un partner Usa. Infatti “dipende in maniera massiccia dagli aiuti economici e militari degli Usa – analizza Parsi. E’ il secondo paese al mondo più finanziato dagli Usa dopo Israele. E’ questa l’arma che gli americani hanno in mano per evitare che al Sisi faccia da sponda ai russi. La stessa arma – ricorda il professore – che gli usa hanno usato con i militari per fargli abbandonare Mubarak”. Ma al Sisi è diventato anche un attore regionale. Il quotidiano al Akhabar, vicino a Hezbollah, ha rivelato che centinaia di soldati ed esperti dell’esercito egiziano sono in Siria, sotto supervisione russa. Mentre fra il 15 e il 26 ottobre, riporta la Reuters, l’esercito russo e quello egiziano hanno tenuto un’esercitazione militare congiunta.
L’uomo di Mosca in Libia è Khalifa Haftar che guida le forze di TobrukIl ruolo del rais egiziano è anche quello di sostegno all’uomo di Putin in Libia: il generale Haftar, a Tobruk, al quale passa rifornimenti militari. Haftar, il 1 dicembre, si è recato a Mosca per incontrare Sergei Lavrov e Sergei Shoigu, ministro della difesa. Secondo alcuni media, al centro della riunione ci sarebbe stata la proposta russa per l’apertura di una base militare a Bengasi (dove le milizie di Haftar controllano una vasta porzione di territorio). Indiscrezioni confermate da Debkafile, sito web vicino all’intelligence israeliana, che sostiene che Mosca punta a costruire nella città libica una struttura gemellata con quella aerea russa di Hmeimim, a Latakia, in Siria. “Putin – secondo Debkafile – offre ad Haftar caccia a reazione, elicotteri d’attacco, mezzi corazzati e missili assortiti, nonché il supporto aereo per la lotta contro lo Stato islamico” nella guerra al terrore. Quella guerra al terrore che, per Parsi, è “la coperta corta con cui tutti fingono di convergere, portando avanti i propri interessi, in nome della lotta al terrorismo. L’Europa – continua il professore – nasconde il suo non intervento e la tolleranza per quello che fanno i russi nel nome della guerra al terrore. Questo è controproducente perché si squalificano anche quelle azioni che devono davvero essere prese”.
Ad Aleppo, la stretta di mano fra Putin e ErdoganProprio ad Aleppo Erdogan e Putin hanno raccolto i frutti del loro riavvicinamento, dopo che, il 24 novembre 2015, avevano raggiunto il punto più basso nelle loro relazioni diplomatiche, quando un jet russo fu abbattuto dai militari turchi. Poi, il tentato golpe in Turchia ha dato in mano i poteri a Erdogan che ha cercato una sponda in Putin per uscire dall’isolamento internazionale e portare avanti i propri interessi in medioriente. Una mossa dettata dalla “disperazione – secondo Parsi. Erdogan ha sbagliato tutte le mosse in questi ultimi otto anni e continua a sbagliare. Ha fatto tutto il contrario di tutto, in campo interno e estero. Il campo interno è rilevante perché prima ha blandito e poi represso i curdi che sono una realtà transnazionale che porta a ricadute interne ma anche in tutta la regione. Infine – ricorda il professore – si è inventato il nemico gullenista: effetto della sua deriva sunnita clericale e della suggestione neocaliffale”. Però ora “il periodo brutto con la Russia è passato, è alle spalle”, come aveva affermato il premier turco Binali Yildirim, in visita a Mosca i primi di dicembre. Una sinergia cominciata – ufficialmente – con la stretta di mano fra Putin e Erdogan, il 9 agosto scorso, che aveva posto fine alle tensioni. Anche se ufficialmente rimangono su fronti opposti nella crisi siriana, da quella stretta di mano la cooperazione russo-turca in Siria è aumentata. Il 22 agosto, secondo il quotidiano libanese al Safir, vicino al governo di Assad, Hakan Fidan, capo dei servizi segreti turchi, ha compiuto una visita a Damasco per discutere con i suoi omologhi “gli sviluppi nel nord della Siria“. Una visita in cui si sarebbero definiti i piani di intervento – cominciato pochi giorni dopo con il nome di “operazione scudo dell’Eufrate“– dell’esercito turco contro i curdi dell’Ypg, braccio armato del Pkk in Siria, e le “Forze democratiche siriane”, coalizione di forze sostenuta da Washington. In cambio Erdogan avrebbe favorito Assad nella riconquista di Aleppo, agendo sul piano politico locale con quelle forze d’opposizione che aveva sostenuto in precedenza. Come è poi avvenuto con l’accordo per la tregua e l’evacuazione dei ribelli dalla città, mediato proprio da Russia e Turchia, che ha riconsegnato alle forze di Bashar al Assad il controllo totale dell’ex capitale economica del paese.
In Siria, a Latakia, i segni di un paese più russoA pochi km di distanza, a Latakia, sulla costa siriana, “diversi ristoranti hanno cambiato i nomi delle insegne da lingua araba a quella russa, chiamandoli con i nomi di località russe”. Lo racconta Nujud Hassan Yousef, su al Hayath. “Se si cammina per Latakia ci si sente come in una città russa. Molti espongono bandiere russe o foto del presidente Putin”. Una russizzazione della Siria che è simboleggiata anche dalla scelta di mandare “Hafiz Bashar al-Assad, il primogenito del presidente siriano Bashar al-Assad, a proseguire gli studi in Russia”, come scrivono diversi media russi. Dal canto suo, la first lady siriana Asmaa al-Assad ha dichiarato che “l’invio di studenti siriani a studiare in Russia si inscrive nel quadro della cooperazione congiunta e continua” fra i due paesi.
“Smettere di cercare di controllare dall’esterno la vita di questi popoli: perché reagiranno violentemente”Insomma, un coinvolgimento russo che, per Parsi, non “può continuare in maniera statica. Putin non è un uomo forte, è un uomo che usa la forza. Sono due concetti molto diversi. Usa la forza senza nessuno scrupolo ma non è un attore forte. Obama aveva fatto tanti errori ma il discorso che tenne al Cairo, nel 2009, era un discorso coraggioso”. Il presidente Usa chiese al mondo arabo e islamico di “cercare insieme un nuovo inizio. Ponendo termine alle discordie”. Ma il punto più importante, continua Parsi, “era sopratutto quello in cui diceva che il destino dei popoli arabi, come qualsiasi altro popolo, deve essere innanzitutto nelle mani di questi stessi popoli. Non possiamo pensare che se l’influenza americana si indebolisce allora arriverà quella europea, che non esiste, quella turca, quella russa, iraniana. E’ ora di smetterla di pensare in questo modo. Se non vogliamo produrre ogni dieci anni un Isis un al Qaeda – conclude il professore -, è ora di smettere di continuare a cercare di controllare dall’esterno la vita di questi popoli: perché poi reagiranno violentemente”...
(Il Fatto Mondo)
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