Jürgen Todenhöfer: "Faccia a faccia con Jihadi John, il mio viaggio nel cuore dell'Is"...
Il giornalista e scrittore tedesco è l’unico occidentale ad aver visitato aree sotto controllo di Daesh in Siria e Iraq. Con un passato da parlamentare e giudice, è noto per le sue posizioni controverse
di FRANCESCA CAFERRINella sua vita Jürgen Todenhöferè stato molte cose: un giudice, un politico controverso, uno scrittore, un giornalista con accesso a luoghi ai più impenetrabili e a gruppi terroristici come i Taliban. Ma nulla gli ha portato notorietà come il viaggio che ha fatto nel dicembre 2014: Todenhöfer è stato l'unico giornalista occidentale ad uscire vivo dal territorio dell'Is. Di più: l'unico reporter invitato a documentare la vita nel sedicente stato. Da tutto questo è nato un libro, "Dentro l'Is: 10 giorni nello Stato islamico" (bestseller in Gran Bretagna e Germania) che esce ora in Italia.
Prima domanda, scontata: come le è venuto in mente di fare questo viaggio?
"Sono stato un giudice e ho scoperto che prima di emettere sentenze bisogna parlare direttamente con le persone, altrimenti si fanno errori. Nel 2014 ho cercato di entrare in contatto con l'Is via social media e dopo vari passaggi sono stato messo in contatto con Abu Qatada, un tedesco convertito che oggi è uno degli uomini chiave della comunicazione dell'Is. È stato lui a organizzare il nostro viaggio".
Gli altri giornalisti occidentali entrati nel territorio Is sono stati uccisi. Lei che garanzie aveva ricevuto?
"Sono andato come ospite. Il viaggio ha richiesto mesi di trattative. Ho chiesto che pubblicassero una fatwa pubblica per dire che ero loro ospite e ho chiarito che solo così sarei andato. Solo dopo che l'Is l'ha diffusa ovunque tramite i suoi mezzi di comunicazione mi sono mosso: a quel punto uccidermi sarebbe stato un danno enorme per loro".
Ci racconti il viaggio in breve...
"Siamo arrivati in Turchia, e da lì al confine. Dopo una serie di passaggi, è venuto a prenderci Abu Qatada. Per dieci giorni io, mio figlio e un suo amico ci siamo mossi, costantemente scortati, fra Mosul e Raqqa. Spesso abbiamo dovuto sottostare alle loro regole: ci hanno costretto a non uscire da soli, a cancellare alcune foto. Qualche volta siamo riusciti a imporci: come quando volevano che io apparissi in un video insieme a John Cantlie e io ho detto "no". Non è stato facile, eravamo sempre al limite fra ciò che potevamo dire e fare e ciò che poteva far precipitare la situazione".
Come il suo autista...
"Un britannico, sempre a volto coperto. Furioso e aggressivo con noi. Una volta che per caso l'ho visto senza sciarpa in volto è quasi impazzito. Quando siamo tornati, mio figlio ha fatto delle ricerche comparando la sua voce a quella che ha trovato sul web: e ha scoperto che con tutta probabilità a guidare la nostra auto per dieci giorni era stato Mohamed Emwazy, alias Jihadi John, lo stesso uomo che aveva sgozzato i giornalisti. Non abbiamo prove, ma mio figlio ne è certo".
Lei li ha visti. Chi sono gli uomini dell'Is?
"L'Is è un movimento di protesta. Almeno secondo gli stranieri che lo hanno scelto: giovani musulmani europei che vivono tutti i giorni il rifiuto della loro società. Questo li rende terreno fertile per indottrinatori estremisti. Si sentono membri di un movimento di resistenza mondiale: ma finiscono con l'applicare a chi non sta dalla loro parte quello stesso tipo di violenza cieca e indiscriminata contro cui dicono di battersi. Con conseguenze terribili".
Quali secondo Lei?
"Nella mia vita ho seguito da vicino diversi gruppi armati: non ne ho mai visto uno pericoloso come l'Is".
Ma negli ultimi mesi hanno perso terreno: da quello che ha visto la strategia di Usa e Russia sta funzionando?
"Assolutamente no. Quasi ogni bombardamento fa vittime civili o distrugge strutture fondamentali per la vita dei civili, con il risultato di aumentare il numero di quelli che si uniscono agli estremisti. Il dibattito internazionale non fa poi che peggiorare la situazione: le parole di Trump in America o dell'estrema destra in Francia o Germania sono state accolte con gioia a Raqqa. Sanno che porteranno loro più adepti".
Che cosa suggerisce allora?
"Devono essere gli arabi a sconfiggere l'Is, non noi. Dobbiamo coinvolgere i sunniti che vogliono cacciarli, dar loro credito. Noi potremmo fermarli militarmente, ma così creeremmo il più grande gruppo terroristico sotterraneo mai esistito"...(R.it Esteri)
- Ottieni link
- X
- Altre app
Commenti