Nadia, Farida, Samia e quell’abbraccio di un’adolescente italiana...






Le ragazze yazide stanno parlando: denunciano che il genocidio del loro popolo non è finito, eppure nessuno muove un dito. Nadia Murad ha 21 anni, appartiene alla piccola comunità degli yazidi e viveva a Kocho, nel nord dell’Iraq. Cento uomini nel suo villaggio sono stati massacrati dall’Isis e da gente dei villaggi vicini il 15 agosto del 2014, tra questi i suoi parenti. Rapita con le altre ragazze, acquistata come schiava sessuale a Mosul da un uomo che aveva già una moglie e una figlia, dopo il primo tentativo di fuga per punizione è stata stuprata da sei miliziani fino a perdere conoscenza. È riuscita a scappare e ora parla in tutto il mondo del genocidio del suo popolo. Al Festival dei diritti umani di Milano, con i lunghi capelli castani raccolti in una treccia, ha raccontato la sua storia ai ragazzi delle superiori, con lo sguardo spesso perso nel vuoto e le dita chiuse a pugno in grembo. “Sì è doloroso – ha confessato al Corriere – ma rispetto alla sofferenza di 3.500 donne, ragazze e bambini che sono tuttora prigionieri dell’Isis, rispetto alla mie coetanee che vengono stuprate ogni giorno, ogni ora, il mio è un dolore tollerabile. Io ho perso tutto: la mia famiglia, i miei sogni e la mia comunità. Ora l’unica cosa alla quale riesco a pensare è che devo porre fine a tutto questo, non riguarda me ma gli altri, li sento dentro di me in ogni istante”.
faridaNelle stesse ore in cui Nadia era a Milano, una quindicenne yazida sopravvissuta all’Isis,Samia Suleiman, era a New York a difendere la causa del suo popolo, determinata a non lasciare che venga dimenticata. Altre ragazze yazide raccontano attraverso i libri le sevizie subite ma anche la forza con cui sono sopravvissute, come Jinan in “Schiava dell’Isis” (Garzanti) o come Farida Khalafnella biografia che prende il suo nome scritta dalla giornalista tedesca Andrea C. Hoffman (Piemme). Dopo mesi di stupri, un tentativo di suicidio e dopo aver rischiato più volte di essere uccisa per la sua ribellione agli abusi sessuali, Farida è scappata da un campo dell’Isis a Deir Ezzor insieme a cinque amiche e adesso è in Germania, per ricevere cure e andare a scuola. Ha deciso di coltivare lo stesso sogno che aveva prima di essere rapita: fare l’insegnante di matematica. “A volte mi sento molto stanca, così tanto che non so se ce la farò – scrive -. Poi però mi dico che la mia vita deve continuare, al di là di tutti gli orrori che ho vissuto. Non darò mai ai miei aguzzini la soddisfazione di avermi distrutto”.
Nadia, Samia, Farida – come molte altre ragazze che hanno parlato alCorriere nei campi profughi di Dohuk – si sono salvate scappando da sole o dietro pagamento di riscatti di decine di migliaia di dollari: soldi che in parte arrivano anche ai miliziani dell’Isis. “Il mondo non ha mosso un dito nemmeno per salvare un singolo bambino”, ha spiegato Nadia ai ragazzi a Milano. Senza rabbia, senza risentimento, come chi sa di essere solo. Sconvolta da tanto orrore, alla fine un’adolescente italiana ha abbracciato la coetanea yazida, piangendo e singhiozzando senza controllo. È stata Nadia, con il volto asciutto e una calma immensa, ad asciugarle le lacrime...
(La Ventisettesima ora)

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