Sparizioni forzate e torture, l’Egitto tenta di chiudere l’Ong delle denunce...




Il Centro Al Nadeem è una delle due organizzazioni per i diritti umani che hanno fornito al Corriere oltre 500 nomi di vittime di abusi delle forze di sicurezza negli ultimi 8 mesi





«Erano in quattro: un funzionario del ministero della Sanità e tre distrettuali. Tutti in borghese», dice al Corriere Aida Seif Al Dawla, direttrice del Centro El Nadeem per la Riabilitazione delle Vittime di Tortura, al Cairo. «Erano aggressivi e determinati a chiudere la sede, ma noi abbiamo chiesto di vedere l’ordine ufficiale. Hanno risposto che non era un nostro diritto, che sapevamo comunque di cosa si trattava. Abbiamo spiegato che non ci saremmo mossi». Il centro El Nadeem è una delle due Ong, insieme alla Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, ad aver fornito al Corriere gli oltre 500 nomi, storie e fotografie di egiziani vittime di sparizioni forzate in Egitto negli ultimi otto mesi, pubblicati domenica scorsa (leggi lo Speciale interattivo). È anche una clinica che cura pazienti che denunciano di essere stati torturati dalla polizia o dalle forze di sicurezza.
Gli spariti in Egitto
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L’ordine di febbraio
A febbraio, le autorità del Cairo avevano già emesso un ordine di chiusura contro il Centro El Nadeem, ma non l’avevano applicato. Anche ieri lo scontro verbale si è concluso dopo che i funzionari della Sanità hanno chiamato il ministero dell’Interno, racconta la direttrice. «Hanno detto al telefono: “I medici non ci lasciano eseguire l’ordine”. E poi se ne sono andati». Al Dawla sottolinea di non aver mai visto il documento ufficiale, nemmeno quando i funzionari si presentarono a febbraio, «ma un mese fa ci hanno spiegato che ci chiudevano perché usiamo una clinica per attività per le quali non abbiamo la licenza, ovvero diffondere rapporti sui diritti umani».
Solidarietà
Scattato l’allarme via social media e chat, in solidarietà con il Centro Al Nadeem, ieri pomeriggio, sono subito arrivati una ventina di attivisti e avvocati, tra cui Mohamad Lotfy, ex ricercatore di Amnesty International, che ora dirige la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà. Della pubblicazione dei dati di queste due organizzazioni sul Corriere hanno scritto nei giorni scorsi diversi giornali e siti egiziani, tra cui Masry El Youm, Madamasr, El Gornal, e su Facebook i familiari di alcune vittime di sparizioni forzate hanno ringraziato «tutti coloro che hanno contribuito alla ricerca della verità e coloro che hanno fatto sentire la nostra voce». «La visibilità è un’arma a doppio taglio, ma corriamo rischi lo stesso, tanto vale affrontarli così», aveva commentato Lotfy. «Il centro è aperto, non l’abbiamo mai chiuso, e continueremo finché siamo liberi — ci aveva detto Aida —. E se lo chiudono troveremo un altro modo per lavorare».
Le organizzazioni nel mirino
Il caso del Centro El Nadeem non è isolato. Nelle ultime settimane, altre organizzazioni per i diritti umani hanno visto il proprio staff interrogato e i fondi congelati con l’accusa di ricevere denaro dall’estero per destabilizzare il Paese. Alcuni attivisti raccontano di lavorare da casa, temendo l’arresto. Sono almeno sei, finora, le Ong finite nel mirino; mentre ad attivisti noti come Hossam Bahgat, fondatore dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali, e Gamal Eid, del Network arabo per l’informazione sui diritti umani, è stato proibito di lasciare il Paese (e i conti sono congelati) in attesa di una decisione della magistratura il 20 aprile...
(Corriere della Sera)

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