Iran, il cronista Jason Rezaian del Washington Post libero dopo 18 mesi...






"Non ci riposeremo fino a che non l'avremo riportato a casa": la promessa fatta da Obama lo scorso aprile è diventata realtà oggi, quando i media iraniani hanno annunciato la liberazione di Jason Rezaian, capo dell'ufficio di Teheran del Washington Post, detenuto da oltre 18 mesi con l'accusa di spionaggio e sottoposto ad un controverso processo a porte chiuse.
Un caso internazionale, che aveva mobilitato la Casa Bianca, alcuni dei candidati presidenziali (da Hillary Clinton a Marco Rubio) e il mondo dell'informazione, a partire dal suo giornale, che lo scorso settembre aveva presentato anche una petizione all'Onu. La vicenda era stata anche al centro di polemiche in Usa sullo sfondo del negoziato sul nucleare iraniano: a più riprese si era sottolineato che la questione non faceva parte del 'pacchetto' ma il legame appare oggi evidente con l'annuncio dell' 'implementation day' sulla storica intesa raggiunta lo scorso luglio. Nato e cresciuto in California, Rezaian, 40 anni a marzo, doppia cittadinanza americana e iraniana (il padre Taghi emigrò dall'Iran nel 1959), era sbarcato come giornalista a Teheran nel 2008, diventando corrispondente del Post nel 2012 dopo aver collaborato con altre testate Usa.
Nella notte del 22 luglio 2014 le forze di sicurezza iraniane fecero irruzione nella sua casa e lo arrestarono insieme alla moglie iraniana, Yeganeh Salehi, anche lei giornalista. In un blitz separato, finirono in manette anche una fotoreporter e suo marito, entrambi americani.
Tutti rilasciati successivamente, tranne Rezaian, rimasto dietro le sbarre della tristemente nota prigione di 'Evin', il carcere dei prigionieri politici e degli intellettuali. Dopo quasi un anno di speculazioni sul motivo della prigionia, lo scorso aprile, quando Jason aveva perso 18 chili e si era visto negare l'assistenza legale, Teheran ha formalizzato le accuse: quattro capi d'imputazione, tra cui spionaggio e propaganda contro il governo. Il processo, celebrato a porte chiuse da un tribunale rivoluzionario, é iniziato lo scorso 26 maggio e finito in ottobre con un verdetto di colpevolezza, senza che sia stata resa nota la pena, che in casi come questi può arrivare sino a 20 anni di reclusione. Ora Obama, finito sotto accusa dei Repubblicani nei mesi successivi all'arresto per il modo in cui era stato gestito il caso, può finalmente riposarsi...
(L'Huffington Post)

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