La valigia degli incubi di Abou...







Una volta, una sola volta in tutta la mia vita, venni chiusa per pochi minuti in un armadio. Era un armadio di legno scuro, non particolarmente grande, in cui si dividevano equamente lo spazio vestiti anni '70 e un paio di poster di Bob Marley direttamente strappati dalle pagine centrali de "Il Monello". Chiusa lì dentro tra jeans a zampa e maglioni infeltriti, vissi la perfezione del terrore, quella che solo un bambino può capire e che noi grandi abbiamo la cattiva abitudine di dimenticare.
Accovacciata in fondo all'armadio strillavo di venire tirata fuori e dondolavo tra la sicurezza che si trattasse di uno scherzo destinato a finire presto e la paura che invece si trattasse di una punizione definitiva per il mio pessimo comportamento. Ero piccola, avevo più o meno l'età di Abou e avevo paura del buio di un armadio conosciuto. Il buio, per un bambino, è quanto di più prossimo all'inferno possa esistere in questa terra: nel buio c'è la morte coi suoi fantasmi cattivi, ci sono i mostri che ti mangiano l'anima togliendoti il respiro. Perché al buio è molto difficile respirare. Dopo un po' il buio si solidifica e l'aria inizia a diventare densa e si fa fatica a inghiottirla e farla arrivare giù nei polmoni. Apri la bocca perché il naso non basta, ma scopri in fretta che nemmeno la bocca è sufficiente a soddisfare la fame d'aria che hai e che cresce di attimo in attimo alimentata, questa fame, dal panico che cresce. "Mi tireranno fuori di qui?".
Provi a fidarti dell'ultima immagine che hai incisa nel cervello e che è quella di una faccia che conosci e della quale ti è stato assicurato che essere quella di una persona per bene, che non ti farà del male. E se non fosse vero? Se quella faccia fosse invece la vera faccia del diavolo e quello lì che stai vivendo fosse il tuo inferno definitivo? Se nessuno dovesse ricordarsi di te e tirarti fuori dal buio per restituiti al sole? Quanto angosciato può essere un bambino di 8 anni chiuso in valigia e scaraventato su un nastro trasportatore e poi stipato assieme a centinaia di bagagli nella stiva di un aereo per un viaggio al buio che dura ore su ore? Quanto terrore avrà dovuto ingoiare per sopravvivere a un incubo di solitudine e abbandono, Abou? E quanta folle disperazione deve abitare la mente di suo padre che paga una banconota sull'altra un viaggio in valigia per suo figlio? Noi di qua, dalla parte dei bianchi e dei ricchi (perché siamo comunque più ricchi di un uomo disposto a fa viaggiare suo figlio dentro a un trolley) non possiamo capire. Non possiamo conoscere quel male così definitivo e disumano che prova chi è disposto ad accettare una variabile di morte presente pur di guadagnarsi una costante di vita futura.
Abou ha 8 anni, è un bambino, è il futuro di questo pianeta, e a lui questo pianeta riserva un viaggio da clandestino in una stiva dove potrebbe venire dimenticato. Suo padre è il presente di questo pianeta e a lui questo pianeta riserva il coraggio di pagare una trafficante di esseri umani per riabbracciare suo figlio. Per entrambi, padre e figlio, l'ingiustizia è il pane quotidiano oggi come ieri e, probabilmente, come domani. Arrestato il primo, di nuovo abbandonato a se stesso il secondo, con poche possibilità di volare in braccio al suo papà e dirgli che è stato un ragazzo coraggioso e che ce l'ha fatta. Che a 8 anni la sola cosa che desideri, dopo una grande paura, sono le braccia di tuo padre che ti stringono e ti assicurano che è tutto passato. Con la memoria e i suoi traumi poi farai i conti da grande ogni volta che ti sentirai morire guardando una valigia o osservando la scia di un aereo.
Eppure se sei uno dei milioni di Abou del mondo anche questo diritto ti viene negato, perché tuo padre è un uomo insensato e non importa se è anche disperato. Ci sono leggi draconiane che su questa terra hanno più valore delle leggi di Dio: sono quelle che scrivono gli uomini bianchi e ricchi e potenti. Sono le leggi che piegano le ginocchia degli uomini neri e poveri e impotenti, che li costringono a scendere a patti con la loro dignità e con il loro buon senso. Quelle leggi sono quelle che regolano i flussi migratori, che distribuiscono senza equità l'accesso a un buon futuro o a una desolazione lunga una vita. Quelle leggi sono quelle che distinguono gli uomini, che tracciano una linea: se sei dalla parte giusta vivrai, se sei dall'altra lotterai.
Abou, quando l'hanno tirato fuori dal trolley rosa in cui era chiuso assieme a qualche maglietta e a uno spazzolino da denti, ha fatto un respirone, e ha improvvisato un sorriso: che ne sapeva lui che quegli uomini che lo salvavano dal soffocamento del buio lo condannavano al patibolo della clandestinità? Lui cercava suo padre, sapeva che quel sacrificio di nero e fiato corto gli sarebbe valso il premio più importante: il suo papà. Non conosce le leggi degli uomini bianchi del Nord del mondo, Abou. Probabilmente le sta imparando ora mentre qualcuno, allungandogli un biscotto e un succo di frutta, gli spiega che il suo premio si trova in galera e lui è, di nuovo, da solo.



(L'Huffington Post)

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