"Ecco come abbiamo combattuto a Gaza": soldati israeliani raccontano i loro crimini...
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Il rapporto presentato il 4 maggio dall’organizzazione israeliana Breaking the silence sull’operazione Margine protettivo della scorsa estate è sconvolgente.
In quasi 300 pagine, 111 testimonianze – rigorosamente anonime – di soldati israeliani che hanno “rotto il silenzio” rivelano come le azioni militari nella Striscia di Gaza siano state condotte in spregio al diritto internazionale umanitario (nella foto AP/Pitarakis gli effetti di un attacco), senza prendere le necessarie precauzioni per ridurre al minimo i danni alla popolazione civile e con regole d’ingaggio permissive, mutevoli, apparentemente guidate dall’obiettivo di sconfiggere il nemico senza correre eccessivi rischi.
“A Gaza non esiste che una persona non sia coinvolta. In quella situazione chiunque è coinvolto, chiunque è un pericolo” – afferma un soldato.Un altro spiega il concetto ancora meglio: “Non è previsto che lì ci siano civili. Se vedi qualcuno, spari e basta, non ti chiedi se era una minaccia o meno. Sono d’accordo. Se spari a qualcuno a Gaza, non è un gran problema”.
Parole che riecheggiano la martellante comunicazione fatta dalle Israeli Defense Forces durante i 50 giorni di conflitto: nessuna abitazione privata era solo un’abitazione, nessuna scuola era solo una scuola, nessun ospedale era solo un ospedale, nessun’ambulanza era solo un’ambulanza. In termini più semplici, nessun palestinese era solo un civile.
Impressiona, tra le altre, la testimonianza di un sergente alla cui unità venne ordinato di “dare il buongiorno” al campo rifugiati di al-Bureij, aprendo il fuoco a casaccio con i cannoni alle sette di mattina, quando la situazione all’interno del campo era del tutto calma: “Dove devo sparare?” – “Dove ti pare”.
“Dopo tre settimane a Gaza, in cui hai sparato a qualunque cosa si muovesse e perfino a cosa non si muovesse, diventi folle, non sei più nella realtà. Il bene e il male si confondono, perdi il senso morale, sembra che stai prendendo parte a un gioco da computer”.
La perdita di senso morale. Dev’essere quella che ha spinto, secondo un’altra testimonianza contenuta nel rapporto di Breaking the silence, a uccidere due donne in un orto. Poco prima un drone le aveva riprese mentre stavano parlando al telefono e questo era stato sufficiente per considerarle “coinvolte”.
Il colonnello Peter Lerner, uno dei portavoce dell’esercito israeliano, pur sottolineando che altri rapporti sull’operazione Margine protettivo sono giunti alla conclusione che Israele non ha violato le leggi di guerra, ha dichiarato che il rapporto di Breaking the silence verrà approfondito per decidere se intraprendere indagini o azioni al riguardo.
C’è da raccontare, infine, il risibile e maldestro tentativo fatto da Oren Hazan, parlamentare del Likud, che ha contattato Breaking the silence e, spacciandosi per riservista, ha provato a rifilare una storia inventata allo scopo, una volta pubblicata, di screditare l’organizzazione. Gli è andata male...
(AgoraVox)
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