Ucraina: perché gli accordi di Minsk (e il processo di pace) rischiano di non durare...





Di Luca Lampugnani

Se il buongiorno si vede dal mattino, i presupposti del cessate il fuoco che alla mezzanotte tra sabato e domenica dovrà entrare in vigore nell'Est dell'Ucraina non sono certo dei migliori. A poche ore infatti dal momento in cui la battaglia tra Esercito regolare di Kiev e separatisti filo-russi dovrebbe chetarsi, i colpi di artiglieria continuano a volare alti sopra il Donbass, i bilanci delle vittime seguitano a gonfiarsi e la sensazione è che la guerriglia si estenderà sino all'ultimo momento utile, come se da entrambe le parti vi fosse un surplus di proiettili da smaltire.
Tuttavia, complice anche il fallimento della prima bozza di accordo e il conseguente precipitare inesorabile della situazione, sono molte le speranze che gravitano attorno al documento siglato nei giorni scorsi a Minsk. Proprio nella capitale bielorussa, già sede a settembre del primo vertice sulla crisi ucraina, le parti al tavolo delle trattative sono giunte ad un compromesso "spalmato" poi in 13 punti. Tra questi, ovviamente, il cessate il fuoco e la sua programmata entrata in vigore. Ma anche il ritiro delle armi pesanti e delle rispettive milizie entro certi limiti, la negoziazione di future elezioni nelle autoproclamate autonomie regionali sotto il controllo dei ribelli, la messa in atto di una amnistia generale e il ripristino dei rapporti tra Kiev e l'Est, da perseguire ad esempio con la ripresa dell'erogazione degli stipendi e delle pensioni nei territori in mano ai separatisti.
Ad ogni modo, come molti osservatori ed analisti temono, le numerose speranze sollevate dal secondo accordo di Minsk rischiano di essere tradite a stretto giro di posta, scatenando, come reazione del potenziale ennesimo fallimento, una ben più violenta e complicata fase di conflitto. A preoccupare sono ovviamente le possibili ingerenze dell'una o dell'altra parte - o di entrambe contemporaneamente, seguite come successo sino ad oggi da un reciproco scambio di accuse - in quelle fasi del processo che riguardano il cessate il fuoco e il ritiro degli armamenti pesanti. Tanto Kiev quanto i ribelli, infatti, potrebbero mirare (si tratta di un'ipotesi, di uno degli infiniti risvolti cui la crisi ucraina ha abituato) a far saltare il tavolo puntando il dito verso la controparte: in tal modo, l'Ucraina potrebbe anche vedere materializzata la promessa di appoggio "letale" da parte degli Stati Uniti, mentre sull'altra sponda del fiume i separatisti potrebbero avere la definitiva procura per essere appoggiati - senza più nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso - dalla Russia.
Ma al di la della questione più strettamente armata, un punto potenzialmente esplosivo dell'accordo di Minsk riguarda le auspicate riforme costituzionali in vista di una più ampia autonomia in favore delle regioni separatiste. Peccato che se da una parte il Donbass in mano ribelle si ritenga già sostanzialmente indipendente, dall'altra Kiev ha più volte ribadito di non essere assolutamente disposta a concedere una più profonda autonomia all'Est. E con queste basi, la possibilità di un emendamento costituzionale che metta d'accordo gli animi e non scateni l'ennesima scintilla mortale è ascrivibile alla fantascienza. Seguono, sulla stessa falsa riga, i contatti e gli accordi di varia natura che dovrebbero scaturire nel prossimo futuro tra Kiev e le istituzioni di autogoverno di Lugansk e Donetsk.
Insomma, benché la seconda versione degli accordi di Minsk sia in alcune parti più solida rispetto alla prima, un vero e proprio processo di pace ucraino balla pericolosamente sul filo del rasoio. Nelle prossime settimane sarà necessario per questo uno sforzo diplomatico serio e coscenzioso, nella speranza che tutte le fasi del compromesso siano rispettate senza ingerenze. Tuttavia, il risvolto più probabile è che il tutto finisca nuovamente in un pericolosissimo nulla di fatto, portando a conseguenze - influenza esterna sul conflitto in primis - che rischiano di gettare la guerra ucraina in una dimensione decisamente più macroscopica rispetto a quella in scena fino a ieri.
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(International Business Times)

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