Come crescere dei piccoli terroristi: la storia di Ahmed...
Deborah Dirani
Ci sono molti e infallibili modi per crescere un futuro terrorista. Si può nutrirlo a badilate di oscurantismo liberticida, cullarlo con ninne nanne anti-occidentali o allattarlo nella certezza che il suo Allah sia l'unico e solo Dio e che chiunque non ne riconosca il primato meriti di venire trapassato da una lama. E fin qui non c'è niente di nuovo.
Nuovissima è invece la trovata del direttore di una scuola elementare di Nizza che ha sporto querela per apologia di terrorismo contro un suo alunno di 8 anni, Ahmed, che dall'alto del suo metro e qualche spiccio, dopo essersi rifiutato di dire che anche lui era Charlie ha peggiorato la sua già gravissima posizione affermando, davanti a tutti i suoi compagni di casse, di essere "dalla parte dei terroristi perché sono contro chi fa le caricature del Profeta". Piccolo terrorista, adesso ti faccio vedere io, che sono uno zelante cittadino cresciuto sotto le gonne di Marianne, deve avere pensato il suo direttore quando si è presentato alla Géndarmerie nizzarda per sporgere denuncia. Denuncia alla quale ha fatto seguito un interrogatorio durato ore a danni di questo bambino che, come tutti i suoi coetanei cresciuti a pane e libertà in un paese occidentale, confonderà la volontà di giustizia di Pikachù con quella dei fratelli Kouachi.
Vorrei ridere di questo episodio che denuncia, più di ogni altro, la fobia nella quale versa oggi l'Europa, dopo gli attentati di Parigi di qualche settimana fa. Eppure, se mi guardo allo specchio, riconosco quella ruga che mi taglia in due la fronte e che mi spunta fuori solo quando sono seriamente preoccupata. Sono preoccupata perché riconosco, nell'avventata denuncia di quell'educatore, il lucchetto già ossidato che ha chiuso in gabbia parecchie menti. Perché solo una mente ingabbiata nella paura di ciò che è diverso, anche inconsapevolmente, anche nell'evidenza di ogni immaturità, può pensare di querelare un bambino di 8 anni per 'apologia di terrorismo', piantando in quella giovane testolina il chiodo fisso di essere stata vittima di una grave ingiustizia.
Se posso accettare, anche nel più completo orrore, l'idea che un bimbo siriano di 8 anni sappia cosa significhi imbracciare un kalashnikov e fare una strage, mi risulta francamente impossibile condividere il terrore di quel preside francese che confonde le pallottole sparate dalla linguaccia di un suo alunno. Il risultato finale delle stragi di Parigi si inizia a vedere oggi. L'ignoranza violenta dei fratelli Kouachi e del loro 'amico' Coulibaly ha prodotto questa nuova incapacità di osservare la realtà delle cose, sostituita da sospetto e terrore di esse stesse.
Perché Ahmed è un bambino e non importa se prega Allah, Krishna, Jahvè o Vishnu. È un bambino che a 8 anni ha già provato sulla sua giovanissima pelle cosa significhi essere diverso, essere messo da parte, essere interrogato per ore in una stazione della Géndarmerie.
Se domani Ahmed svilupperà un ferocissimo odio per noi democratici occidentali, evitiamo almeno di franare giù da un pero. Perché saremo stati noi stessi, con la nostra rinnovata paura, a incastrargli quell'odio nel cuore e nel cervello.
Che è lecito che un bambino non capisca la reale portata delle sue parole e delle sue azioni: è un bambino, accidenti. Io a 8 anni ho rischiato di rovinare giù da una finestra con uno scialletto rosso buttato sulle spalle! Perché la differenza tra Superman e la realtà si evidenzia crescendo. E allo stesso modo la differenza tra una banda di assassini senza Dio e i buoni fedeli di quello stesso Dio si sostanzia con il trascorrere dei giorni e l'incalzare della maturità.
Certo è che se oggi a qualcuno sembra lecito chiudere per ore un bambino mussulmano in Géndarmerie, tocca riconoscere che la missione dei fratelli Kouachi può dirsi mirabilmente conclusa. Il terrore ha vinto sul lume della ragione proprio là, nella terra degli Illuministi...
(L'Huffungton Post)
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