Iraq: l’esercito prepara l’attacco contro l’Isis a Mosul...





L’esercito iracheno vuole assestare un duro colpo all’Isis, riconquistando Mosul, la seconda città più grande del Paese. I militari di Baghdad, sostenuti della milizie sciite e dai sunniti contrari all’autoproclamato Califfato, stanno predisponendo l’offensiva.

Mosul, simbolo della guerra all’Isis

Il governo dell’Iraq ha istituito una sala operativa per la liberazione di Mosul. La riconquista sarebbe fondamentale prima di tutto per un aspetto simbolo: l’esercito iracheno cancellerebbe l’onta della disfatta della scorsa primavera quando, di fronte all’avanzata dei miliziani, i soldati fuggirono, lasciando armi e mezzi di artiglieria ai jihadisti.
Tuttavia, l’eventuale arretramento dell’Isis avrebbe anche un impatto concreto, in quanto l’organizzazione islamista perderebbe l’avamposto al nord dell’Iraq. Il ministro delle Finanze iracheno, Hoshyar Zebari, ha detto ad Al Jazeera di attendersi una battaglia molto meno lunga rispetto alle previsioni. «Penso che Mosul sia la città chiave. A Mosul, le forze di sicurezza irachene sono crollate e Abu Bakr al-Baghdadi ha dichiarato il suo califfato. E sarà a Mosul la città in cui dovrò essere sconfitto», ha sostenuto il ministro.
Il vice governatore di Mosul, Nuraddin Kaplan, ha evidenziato la necessità di velocizzare l’attacco. «È meglio che l’operazione cominci prima: più passa il tempo, più diventerà difficile», ha dichiarato.

La guerra dei soldi

Lo scontro, però, non è solo armato. Infatti, il governo iracheno ha evidenziato la necessità di combattere l’Isis anche da un punto di vista economico. Il controllo di pozzi di petrolio in Iraq e in Siria, infatti, permette ad al Baghdadi di controllare una ricchezza stimata in centinaia di milioni di dollari al giorno.
«La campagna aerea (occidentale, ndr) attacca queste strutture in Siria e nel nord dell’Iraq, al fine di privarli delle entrate. Ma l’Isis ha enormi risorse finanziarie e può pagare le reclute con buoni stipendi, più alti di quello che possiamo permetterci», ha spiegato Hoshyar Zebari.
(Il Journal)

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