“Così sono stato torturato a Guantanamo”...





Che gli Americani torturassero i loro prigionieri era noto sin dai tempi del Vietnam. Ma la pubblicazione del dossier del Senato americano sull’uso della tortura da parte della CIA contro i presunti responsabili dell’attacco alle Torri Gemelle nel settembre 2001 sta corrodendo i principi democratici in nome dei quali, il paese- dicono-sia stato fondato.
Non finiremo mai di sorprenderci di fronte alle notizie che arrivano dagli Stati Uniti. Eppure è da anni che le associazioni dei diritti umani denunciano i tremendi abusi perpetrati dagli Usa nel carcere di Abu Ghraib in Iraq- il cui aguzzino ha confessato le pratiche lì condotte solo poche ore fa-, in quello di Bagram in Afghanistan-chiuso solo dopo la rivelazione del dossier sulla tortura- e a Guantanamo a Cuba, dove ad essere rinchiusi sono ancora 136 detenuti.
E proprio da qui arriva una testimonianza preziosa e terribile insieme, pubblicata dalla CNN. Un ulteriore tassello di questo ‘puzzle infernale’ che gli Stati Uniti hanno costruito in modo assolutamente tranquillo, con la sicurezza e la certezza dell’impunità.
Samir Naji è uno yemenita accusato di appartenere alla sicurezza di Osama Bin Laden rinchiuso senza aver commesso alcunché a Guantanamo per 13 anni. Nel 2009 gli era stato accordato il rilascio, ma nonostante ciò ha continuato ad essere recluso in carcere. La sua storia è emersa a seguito di un incontro con gli avvocati diReprieve, un’associazione per i diritti umani che lavora affinché Samir e altri uomini reclusi ingiustamente a Guantanamo possano un giorno avere giustizia.
Il racconto di Samir parte dalla sensazione di angoscia e ansia che si prova nello stare rinchiusi in un carcere, sapendo che non potrai mai incrociare il volto di una persona cara, di famiglia, che viene a dirti una parola di conforto, di sostegno. Isolato e maltrattato come un animale invece. È così che le guardie carcerarie americane lo hanno tenuto per 13 anni, sottoponendolo a sfiancanti e brutali interrogatori sia di giorno che di notte. Il gelo, il freddo che entra nelle ossa e che ti immobilizza. Se non fosse che immobile non ti vogliono, pena un colpo di arma alle tempie. E così sei costretto a ballare, camminare, mangiare, fare versi di animali…di tutto purché sia quello che loro ordinano.
“Mi portano in una specie di sala cinematografica. Qui mi costringono a guardare i video degli abusi sugli altri detenuti. Poi mi dicono che devo ballare e correre in cerchio, mentre mi tengono per le catene. Ogni volta che mi rifiuto di farlo mi toccano nelle zone più intime”. Ma non solo. “Mi portano nella stanza del porno. Immagini pornografiche ovunque intorno a me. Vengo spogliato nudo e vengo anche sbarbato, un gratuito attacco alla mia religione. Mi mostrano foto di donne nude e mi costringono ad emettere dei versi animaleschi e quando rifiuto, mi picchiano”.
Ad un tratto Samir sembra svenire dal freddo. Allora le guardie lo portano dal medico, che subito lo mette sotto ad una coperta termica e cerca di riscaldarlo. Ma come dei bambini che non vogliono mai smettere di giocare, i suoi carnefici sono fuori alla porta e aspettano che si rialzi per continuare a divertirsi.
“L’America non può continuare a nascondersi nel suo passato e in un presente come questo. Le nostre storie non possono essere cancellate”- dice Samir, ogni giorno a Guantanamo costretto a salutare e a baciare la bandiera americana.
(Il Journal)

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