Infibulazione, i divieti non servono: in Egitto si continuano a praticare mutilazioni genitali femminili...





Di Stefano Consiglio

Il 20 novembre il tribunale di Aga (Egitto) ha assolto un medico egiziano responsabile di un'operazione di infibulazione disposta nei confronti Sohair el-Batea, una ragazza tredicenne morta a causa dell'intervento. La sentenza, che ha disposto l'assoluzione sia per il dottore che per il padre della vittima, è stata adottata dopo che le ONG operanti in questa nazione hanno spinto affinché i giudici raggiungessero un verdetto. La famiglia di Sohair, infatti, aveva repentinamente ritirato la denunciata inizialmente presentata.
E' bene sottolineare che il dottor Raslan Fadl, questo il nome dell'operatore sanitario responsabile dell'intervento, è il primo medico del paese ad essere processato per una procedura di infibulazione. Per anni, infatti, questa pratica è stata considerata perfettamente legale dal sistema penale egiziano. Solamente nel 2008 il Parlamento ha adottato una legge che qualifica la mutilazione genitale femminile come un reato punibile con una pena detentiva da tre mesi a due anni o una multa da 1.000 a 5 mila sterline egiziane (fra i 100 e i 500 euro circa).
Il problema di questa normativa è che essa stabilisce un'eccezione al generico divieto di infibulazione ammettendo la "ablazione totale o parziale degli organi genitali esterni femminili" in caso di necessità medica. Di fatto questa clausola apposta alla normativa ha legittimato una prosecuzione indisturbata di questa pratica, nonché ha garantito ai giudici egiziani il pretesto per assolvere il medico imputato per la morte di Sohair.

Stando ai dati contenuti in un rapporto presentato dall'Unicef nel 2013, attualmente in Egitto circa il 91 percento della popolazione femminile è vittima dell'infibulazione. A differenza di altri paesi africani, in cui la mutilazione genitale viene effettuata al di fuori di strutture medico/ospedaliere, il 75 percento delle donne infibulate hanno subito un'operazione da parte di un operatore sanitario.
È bene precisare che anche prima dell'adozione da parte del Parlamento egiziano della normativa che qualifica l'infibulazione come reato, un provvedimento approvato nel 2007 aveva vietato questa pratica negli ospedali e nelle cliniche private del paese. Anche in questo caso, tuttavia, l'eventuale presenza di necessità mediche comportava una deroga al divieto.

L'Egitto non è l'unico paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione femminile viene sottoposta a procedure di mutilazione genitale. Si tratta, infatti, di una realtà tristemente presente in diversi paesi sia dell'Africa occidentale sia dell'Africa orientale. Attualmente il "primato" per il numero di donne infibulate è detenuto dalla Somalia, con valori pari al 98 percento. A seguire troviamo la Guinea, 96 percento; il Gibuti, 93 percento; l'Eritrea e il Mali, 89 percento; la Sierra Leone e il Sudan 88 percento. Stando alle stime compiute dall'Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno circa 2 milioni di donne e bambine subiscono la mutilazione dei propri organi genitali. Il numero di donne infibulate nel mondo è stato stimato in 135 milioni.

Una tabella particolarmente significativa tra quelle presentate dall'Unicef è quella relativa al supporto fornito dalle donne alla pratica dell'infibulazione. Apparentemente circa il 54 percento delle donne egiziane sarebbe favorevole alla mutilazione genitale femminile. Valori ancor più elevati vengono registrati in paesi quali il Mali, 73 percento; la Guinea 69 percento; la Sierra Leone, 66 percento. Si tratta ovviamente di valori basati sui dati raccolti dall'Unicef, tuttavia essi inducono a riflettere sulle motivazioni culturali che si celano dietro questo fenomeno.
Quelle società che promuovono l'infibulazione si basano su una teoria secondo la quale la mutilazione dei genitali femminili non solo determina la purificazione della donna ma la aiuta anche a trovare marito. L'asportazione dei genitali esterni, infatti, indurrà la donna a non ricercare il piacere fisico permettendole, in tal modo, di arrivare pura al matrimonio e di non compiere successivamente atti di infedeltà. Una visione chiaramente fallocentrica che manca di sottolineare il gravissimo pericolo per l'integrità sia fisica sia psicologica a cui sono esposte le vittime dell'infibulazione.
Le donne che la subiscono, infatti, rischiano gravi infezioni, specialmente al tratto urinario che viene spesso danneggiato durante l'intervento; emorragie, che possono continuare per diversi giorni a causa dei danni arrecati ai vasi sanguigni; nonché maggiori complicazioni durante il parto, a causa del tessuto cicatriziale che riduce sensibilmente la capacità di dilatazione del canale del parto. I rapporti sessuali diventano estremamente dolorosi, causando estesi sanguinamenti che ripropongono nuovamente problemi di infezioni ed emorragie.
A ciò occorre aggiungere i danni psicologici, consistenti in un sensibile aumento nella possibilità di manifestare episodi di ansia, depressione, disturbi del comportamento o vari tipi di psicosi. Il fatto che molte donne continuino a supportare questa pratica dipende, essenzialmente, dalla paura di essere emarginate qualora si rifiutino di sottoporsi all'operazione.
La sentenza adottata dal tribunale egiziano rappresenta l'ennesimo passo indietro rispetto ai vari tentativi adottati sia a livello nazionale che internazionale per combattere l'infibulazione.
A differenza di quanto affermato da coloro che promuovono la mutilazione genitale femminile, questa si qualifica senza alcun dubbio come una delle più gravi forme di violenza perpetrate nei confronti della donna, nonché come uno strumento di controllo utilizzato dalla popolazione maschile per mantenere un ruolo predominante all'interno della società.

(International Business Times)

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