Israele-Palestina, 'noi' e 'loro': riscrivere i significati per cancellare odio e violenza...





Di Luca Lampugnani 
La Striscia di Gaza è tornata a fumare di razzi e raid, e le esplosioni scandiscono la vita di due popoli abituati alla violenza, assuefatti dall'odio e dalla brutalità. Hamas annuncia che gli attacchi contro Tel Aviv non finiranno, Netanyahu non esclude che nei prossimi giorni il conflitto a distanza possa diventare ravvicinato, con una vera e propria invasione di terra. Pretesto e mera scusa per questa situazione, l'ennesima, gli omicidi di tre ragazzi israeliani e di un palestinese, tutti e quattro ugualmente giovani e lontani da una guerra che si trascina avanti da anni, che attraversa la storia del Medio Oriente influenzandone periodicamente gli assetti e il potere.

Chi ha ragione? Chi ha torto? Sono peggio i raid dell'Esercito di David, non propriamente noto per la sua umanità, o i razzi di Hamas? A chiunque abbia una risposta a queste domande, solo alcune delle miriadi che potrebbero essere poste, bisogna fare i complimenti.
Anzi, no: avere la presunzione di poter guardare a tali quesiti freddamente, dando una risposta immediata e sicura equivale ad ignorare la complessità di ciò che è stato e sarà a Gaza. Significa essere partigiani di una guerra dove non ci sono né vincitori né vinti, solo carnefici. Per troppo tempo, dentro e fuori dal Medio Oriente, a chi argomentava delle continue violazioni dei diritti umani di Israele veniva risposto che Hamas, in fondo, se la cercava. Per troppo tempo l'azione di un gruppo violento, che ha fatto della lotta armata il suo credo, è stato giustificato perché le immagini che scorrevano in TV mostravano i carri armati di Tel Aviv schierati contro una fila di ragazzi armati per lo più di sassi e pietre. Per troppo tempo, insomma, la crisi israelo-palestinese è stata confinata nei recinti della tifoseria, del 'noi' e del 'loro', del 'noi' contro di 'loro'.
Categorie, queste, dove pretendono di rientrare tutti, da qualunque angolazione si voglia guardare alla violenza che si scatena sopra Gaza. 'Noi' sono coloro che fanno parte di uno stesso clan, popolo, etnia, sono coloro che se festeggiano ogni possibile risultato o conquista, sono sempre pronti a chiudere uno o due occhi sulle parti più in ombra e oscure. 'Loro', solitamente, sono feccia, parassiti da debellare, uno scandalo e un abominio, violenti e brutali oltre ogni modo. Un ritratto senza senso e sporco di pregiudizio, qualcosa che all'ombra di Tel Aviv dovrebbero conoscere fin troppo bene. I ruoli, ovviamente, sono intercambiabili.
A dare un interessante punto di vista su questo 'noi' Vs. 'loro' è Guy Spigelman, amministratore delegato della PresenTense israeliana. Dalle pagine di Haaretz, il ragionamento di quest'ultimo parte da una domanda: alla luce dell'ennesima crisi israelo-palestinese, supportata da leader di entrambi gli schieramenti che sembrano essere in costante attesa dell'odore del sangue per poter attaccare, cosa può fare il popolo? Quello che può fare, secondo Spigelman, è proprio trovare e attribuire a 'noi' e 'loro' tutto un nuovo significato, depennando le definizioni di ebreo, arabo, israeliano, palestinese e così via. "Ebrei e arabi - scrive nero su bianco - possono essere tanto 'noi' quanto 'loro'", senza distinzione su base etnica o religiosa. Tuttavia, come dicevamo, una nuova definizione, annullando i vecchi preconcetti, è assolutamente necessaria.
'Noi', in questa visione forse fin troppo utopistica, ma non per questo meno condivisibile, diventerebbero coloro che credono che tutte le persone hanno diritti umani fondamentali, la libertà di vivere senza paure o violenze, di parola, di voto, di culto e tutti gli altri diritti che dovrebbero essere, almeno teoricamente, scontati. Nel 'noi' rientrerebbero anche a pieno titolo coloro che accettano l'esistenza dell'altro, sapendo che la convivenza è possibile senza mire di prevaricamento, di dominazione o annientamento, così come coloro non discriminano le diverse visioni storiche di ciò che è stato e coloro che credono nella non-violenza per uscire da una spirale di brutalità senza fine.
Nel 'loro', al contrario, rientrano tutte quelle persone che credono di essere superiori all'altro, che la loro esistenza conta più di quella dell'altro, chi vuole dominare e controllare, chi vuole cacciare e uccidere, chi vuole imporre una verità, presente e storica, e chi accetta che la violenza generi altra violenza, mantenendo vivo quel clima di paura che per troppi anni ha condizionato le fasi storiche del Medio Oriente.
Ovviamente, questo va da se, raggiungere un tale obiettivo non è certo cosa facile. Per un'infinità di tempo l'odio ha avuto la possibilità di coprire ogni cosa, le rovine di Gaza, i palazzi di Tel Aviv, i ragazzi palestinesi e quelli israeliani. Tutti cresciuti e allevanti in una terra violenta, dove nonostante le ventilate differenze, i due volti dell'odio sono più simili di quanto si possa immaginare. Uscendo da 'ebreo' o 'arabo', Hamas e Netanyahu mostrano la loro assoluta somiglianza, emblemi di una situazione che viene continuamente alimentata, anziché scongiurata. Simboli stessi di quell'odio, che genera e ha generato la brutalità di cui siamo stati testimoni e spettatori. Tutti, nessuno escluso o sollevato dalle proprie responsabilità. 'Noi', e 'loro'.

(International Business Times)

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