Siria: le elezioni insanguinate di Damasco...





Di Luca Lampugnani | 31.05.2014
Fortemente volute da Damasco, bollate come una farsa dall'Occidente, martedì 3 giugno la Siria conoscerà le prime elezioni presidenziali multi-candidato della sua storia. In precedenza, infatti, il sistema elettorale per la scelta della guida del Paese prevedeva sostanzialmente che il nome venisse deciso dal Baath - il partito che detiene il potere a Damasco -, salvo poi essere sottoposto al consenso popolare tramite un referendum: se il 'candidato' superava il 50% dei 'si', allora diventava a tutti gli effetti il presidente della Siria. E, ovviamente, con percentuali bulgare - Bashar al Assad, presidente dal 2000, ha ottenuto sia allora che nel 2007 qualcosa come il 99% delle preferenze. Tuttavia, le elezioni di quest'anno assumono tutto un altro significato rispetto a quelle del passato.
Per il già citato Assad, ovviamente in corsa e vincitore annunciatissimo, questo sarà infatti un appuntamento elettorale dai molteplici aspetti:
1)  Prima di tutto, sarà l'occasione per mostrare (a chi ci vuole e vorrà credere) il volto democratico della Siria, bollata da tutti come nelle mani di un dittatore ma nella realtà in grado di organizzare delle elezioni dove è rispettata la pluralità. Poco importa se senza troppe spiegazioni dei 24 sfidanti iscritti ne siano rimasti solo 2: Hassan bin Abdullah Al-Nouri, ex ministro di uno dei governi presieduti dal padre di Bashar al Assad, Hafez al-Assad, e Maher Abdel Hafiz Hajjar, comunista, in qualche caso pacificamente contro il governo.
2)  In secondo luogo, daranno al numero uno di Damasco quella legittimazione popolare che, in un colpo solo, spazzerà via ogni voce di ribelle o dissidente - rigorosamente dipinti dal regime come un fronte di terroristi senza scrupoli -, schiaffeggiando idealmente coloro che hanno tentato di sfruttare la guerra per deporre il legittimo potere del Baath e della premiata ditta Assad.
3)  Terzo ed ultimo aspetto, l'ovvio e scontato risultato che uscirà dalle urne suggellerà con il voto la definitiva sconfitta degli insorti, secondo non pochi report in difficoltà sul campo di battaglia mentre l'Esercito regolare, tra un bombardamento e l'altro, sembra stia guadagnando terreno  giorno dopo giorno.   
Proprio per far si che il presidente possa mettersi in tasca tutto questo, le elezioni si terranno a qualsiasi costo. Lo ha messo in chiaro, qualche mese fa, Assad, cui hanno fatto eco le parole del ministro dell'Informazione, Omran Zoabi: "non permetteremo che problematiche relative alla sicurezza, al conflitto in corso, o che per ragioni politiche interne o esterne vengano ritardate o annullate le elezioni presidenziali". The show must go on, insomma, lo spettacolo deve continuare. E così, nonostante si susseguano senza sosta gli scontri e puntualmente la guerra torni sulle pagine dei giornali tra presunte bombe al cloro e massacri, il voto siriano poggerà i piedi sui corpi delle oltre 160 mila vittime del conflitto e dei milioni di rifugiati, non curandosi di quanto sarà inevitabilmente difficile mettere in pratica l'elezione laddove, per esempio, il Paese è in mano ai ribelli.
Nel frattempo, nell'attesa dell'appuntamento elettorale in Patria, nei giorni scorsi i tantissimi rifugiati in Libano e in Giordania hanno fatto da apripista per le presidenziali, partecipando in gran numero al voto anticipato. Dati precisi sull'affluenza è pressoché impossibile averne, così come molto difficilmente i risultati saranno presto noti (benché rimangano del tutto scontati), ciò non toglie che coloro che si sono recati alle urne - le ambasciate siriane nei due Paesi - sembra abbiano espresso più di un favore all'indirizzo di Assad, ritenuto da molti, dopo tre anni di estenuante guerra, l'unico uomo in grado di sconfiggere coloro che hanno distrutto la Siria.
Tuttavia, al di la di tutte le parole che possono essere spese, solo una sembra essere la grande verità di queste elezioni: la loro violenza. Violenza che si esprime e si esprimerà in tutti i sensi, da quella fisica dovuta ai morti, ai feriti e agli scontri - il voto di per se potrebbe essere l'ottimo pretesto per un bagno di sangue senza precedenti -, fino a quella propagandistica, dove un appuntamento teoricamente democratico viene spogliato di ogni suo significato e sfruttato come mera bandiera di autocelebrazione.
Intanto, lontano e sullo sfondo, rimangono i grandi interessi internazionali che si muovono sopra il cielo di Damasco, ormai incapaci di mettere fine ad una situazione che, in complicità con Assad, hanno contribuito a creare. Tanto gli Stati Uniti quanto la Russia - impegnate nell'ennesima puntata di Guerra Fredda, poi abbandonata, almeno mediaticamente, per l'Ucraina -, fino ai Paesi del Golfo e l'Iran - attori protagonisti di una guerra religiosa intestina all'islam che prosegue ormai da tempo -, ognuno ha il suo pezzo di responsabilità per quanto sta succedendo in Siria. Nessuno escluso.   

(International Business Times)

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