A Istanbul tra i profughi siriani in fuga...





Sawsan ha trent’anni anni e un neonato tra le braccia. Con pudore, scosta un lembo della veste e allatta il bambino. Dopo qualche minuto si ricompone e torna a tendere la mano ai passanti e ai turisti diretti verso Istiklal Caddessi, la strada dello shopping e delle vetrine griffate nel cuore di Istanbul. «Veniamo dalla Siria, da Aleppo», spiega la ragazza in un inglese elementare. Accanto a lei siede la nipotina di cinque anni che tiene in mano il passaporto blu della zia per dimostrare che sono veramente profughi in fuga. «Mio marito è morto, gli hanno sparato. Io sono scappata con la famiglia di mia sorella: chiediamo l’elemosina perché non c’è altro che possiamo fare», aggiunge.

Tendere la mano per mendicare è l’ultima delle umiliazioni per una ragazza che, fino a poco tempo fa, aveva un lavoro e poteva andare in vacanza con il marito. Una vita normale che nel giro di poco più di un anno è diventata un vero incubo.

Per incontrare gli occhi di Sawsan, di Hossein, di Mariam e di tanti altri basta distogliere lo sguardo dai monumenti di Istanbul e rivolgerlo verso il basso. Tante le donne sole, tanti i bambini come Mariam, 16 anni, e i suoi cinque fratelli e sorelle. La più piccola, cinque anni appena, tiene tra le mani un cartello: «Siamo siriani scappati dalla guerra. Aiutateci, Dio ve ne renderà merito». Stanno seduti in gruppo all’ingresso del parcheggio degli autobus a Eminonu, vicino all’imbarco dei traghetti che solcano il Bosforo e il Corno d’Oro. Un venditore ambulante regala ai bambini un sorriso e un sacchettino di semi di girasole.

I numeri di un’emergenza
In questi mesi, il numero di profughi siriani che ha trovato accoglienza in Turchia ha quasi raggiunto il milione, mettendo in difficoltà il sistema di accoglienza del governo Erdogan. A fine aprile 2014 erano circa 722mila i rifugiati registrati ufficialmente dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, di cui circa 250mila accolti all’interno dei 22 campi gestiti dall’Afad, ente governativo deputato alla gestione di disastri ed emergenze. «Il problema è che i campi sono ormai saturi», commenta Oyku Tumer, avvocato dell’Helsinki citizen assembly, associazione impegnata per la tutela dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. Ai numeri ufficiali bisogna poi aggiungere quanti non hanno ottemperato alla richiesta del governo di registrarsi presso le autorità.
Inoltre per Ankara i siriani non sono richiedenti asilo ma “ospiti temporanei” la cui accoglienza è basata su tre pilastri: frontiere aperte per agevolare la fuga dalla guerra, il principio del non-respingimento e assistenza sanitaria gratuita. «In teoria questo meccanismo funziona. A differenza degli altri rifugiati, ad esempio, i siriani hanno anche la possibilità di chiedere il permesso di lavoro», aggiunge Nur Ozkut, dell’Helsinki citizen assembly. «Cosa succederà in futuro non lo sappiamo – conclude Oyku Tumer –. Non sappiamo fino a quando il governo potrà mantenere fede alle promesse di accogliere i siriani».

Senza casa e lavoro nero
Chi ha abbastanza soldi, amici o familiari in Turchia riesce ad affittare un appartamento. Spesso a prezzi molto più elevati rispetto a quelli di mercato. Una situazione che sta creando non poche difficoltà, in città come Gaziantiep, Kilis e Salinurfa che hanno accolto dai 20mila ai 50mila profughi ciascuna. Per Istanbul non esistono dati ufficiali, ma si stima che i siriani siano circa 200mila. Ma è difficile individuarli in una megalopoli che conta più di 13 milioni di abitanti.
Nel quartiere di Sulthanameth i turisti affollano Santa Sofia e la Moschea Blu. In una piazzetta, un ragazzo di 25 anni cerca di vendere fazzoletti di carta ai passanti: «Di solito riesco a raccogliere 25-30 lire al giorno, che bastano per dar da mangiare ai miei quattro bambini». L’uomo da circa una settimana vive a Istanbul dove dorme per strada in attesa di trovare un’occupazione che gli permetta di raccogliere abbastanza soldi per pagare il viaggio della speranza alla moglie, che è rimasta ad Aleppo.
Ma trovare un lavoro in regola e adeguatamente remunerato è molto difficile. Una ricerca del “Migration policy centre” di Firenze evidenzia fenomeni di sfruttamento e lavoro nero nell’edilizia, nelle fabbriche e in agricoltura, dove la paga media è 15 lire al giorno, circa 5 euro. Uno sfruttamento incoraggiato dalle stesse autorità che, quando si avvicina la stagione del raccolto, permettono ai profughi di uscire dal campo per andare a lavorare.

Ilaria Sesana

(Avvenire.it)

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