SIRIA. I combattimenti bloccano gli aiuti...



Il raid governativo su Atareb ha fatto almeno 30 morti. Nel Paese infuriano i combattimenti e milioni di persone sono tagliate fuori dagli aiuti umanitari. L’allarme dell’Onu: “Governo e ribelli violano il diritto internazionale”. Il 3 giugno si vota per le presidenziali.



di Sonia Grieco
Roma, 25 aprile 2014, Nena News – Almeno trenta persone sono morte e decine sono rimaste ferite ieri mattina in un raid dell’aviazione governativa sull’affollato mercato di Atareb, vicino la città di Aleppo, nel nord della Siria, dove è in corso l’offensiva delle truppe fedeli al presidente Bashar al Assad contro le milizie dell’opposizione. Una strage tra la popolazione civile che sta pagando un prezzo altissimo in questa guerra iniziata tre anni fa e che ha fatto oltre 150.000 morti.
I combattimenti impediscono l’arrivo degli aiuti umanitari nelle diverse zone dei e nelle città assediate e almeno tre milioni e mezzo di siriani non hanno accesso ai beni e ai servizi essenziali. Ad Aleppo sono rimasti 40 medici per 2,5 milioni di abitanti e le strade bloccate impediscono l’assistenza umanitaria a circa un milione di persone che ne hanno bisogno. L’assedio di Homs sta facendo decine di vittime e in tutto il Paese circa 9,3 milioni di persone sono subiscono le conseguenze di un conflitto che sta devastando la Siria: le infrastrutture sono distrutte, i sistemi sanitario e scolastico sono stati demoliti e la popolazione è in fuga sia all’interno del Paese sia verso gli Stati vicini.
Una “violazione” del diritto internazionale, ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che ha biasimato sia il governo di Damasco sia l’opposizione perché impediscono l’accesso della popolazione agli aiuti umanitari . “La situazione si sta deteriorando e gli aiuti umanitari a chi ha bisogno non arrivano. È una situazione estremamente pericolosa in cui lavorare”.
La battaglia si è intensificata da settimane. Le truppe governative stanno riguadagnando terreno, anche grazie al sostegno militare dei combattenti del movimento sciita libanese Hezbollah, ma le milizie dell’opposizione, tra cui diversi gruppi jihadisti, mantengono il controllo di vaste aree del Paese. La fine della guerra appare lontana e tutti i tentativi diplomatici messi in campo sinora (Ginevra I e II) sono falliti. La cosiddetta comunità internazionale ha ottenuto l’impegno di Assad a distruggere il suo arsenale chimico e, secondo l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), il 92,5 per cento dei materiali chimici della Siria è stato rimosso dal Paese. Damasco avrebbe anche distrutto edifici, equipaggiamenti e container vuoti di gas mostarda e decontaminato altri container in numerosi siti di stoccaggio e produzione di armi chimiche. L’operazione, che ha scongiurato un attacco guidato dagli Stati Uniti contro la Siria, dovrebbe concludersi il 30 giungo, ma continuano ad arrivare notizie di altri attacchi chimici di cui si accusano a vicenda governo e opposizione.
Intanto, il 3 giugno i siriani saranno chiamati alle urne per le elezioni presidenziali. Lo ha annunciato il governo, scatenando perplessità e polemiche. I gruppi di opposizione hanno gridato alla “farsa elettorale” e anche dalle potenze internazionali è arrivata una dura condanna. Difficile immaginare come si possano svolgere in maniera regolare le elezioni in un Paese in guerra, con milioni di sfollati interni e di profughi negli Stati limitrofi, con città, villaggi e intere aree trasformate da anni in campi di battaglia e con le vie di comunicazione bloccate. La “farsa” però sembra andare in scena e il vincitore sarà di certo Assad che sta pure blindando la sua vittoria: a legge elettorale, infatti,  prevede  che il candidato abbia la nazionalità siriana di nascita e da parte di entrambi i genitori (siriani alla nascita).  Il candidato non deve avere accuse pendenti, non deve esser sposato con una non siriana e deve risiedere in Siria in maniera continuativa da almeno dieci anni. Sono perciò esclusi dal voto i siriani privi o che non possono rinnovare i propri documenti e in buona parte i membri delle opposizioni in esilio. Il candidato deve essere appoggiato per iscritto da un minimo di 35 deputati (su un totale di 250). Considerando che il Baath e i partiti satelliti controllano l’assemblea legislativa, è di fatto impossibile per un vero oppositore presentarsi come candidato alle presidenziali. (Nena News)

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