Siria, 144 profughi fermati in Egitto chiusi dentro due stanze con 63 ragazzini Ecco la loro testimonianza...
Fermati in mezzo al mare dalla guadia costiera egiziana, a bordo di un barcone che stava affondando poco dopo l'inizio del viaggio verso l'Europa. Chiusi nella sede di un commissariato ad Alessandria, dove i poliziotti impediscono l'arrivo di generi di conforto della Caritas
di STEFANO PASTAMILANO - Attraverso WhatsApp, abbiamo intervistato i profughi siriani trattenuti dal 14 aprile nel commissariato di polizia Al Rashid, ad Alessandria d'Egitto. Fallito il tentativo di raggiungere l'Europa con un barcone, si sono consegnati alle autorità egiziane, ma ora rischiano il trasferimento nel carcere di Al Burj, o - peggio ancora - il rimpatrio.
Com'è oggi la vostra situazione?
Disastrosa, le condizioni igieniche sono pericolose a causa di una fognatura rotta. Viviamo in 144 persone in due stanze di pochi metri, una per le donne e l'altra per gli uomini. Dormiamo per terra e non possiamo lavarci. Cerchiamo di mantenere la calma, ma quando nei giorni scorsi sono capitati dei momenti di tensione tra di noi, la polizia ha impedito le visite per quel giorno e ha sospeso il caffè e il cibo portato dall'esterno dalla Caritas di Alessandria. I ragazzi e gli uomini riescono ancora a resistere in qualche modo, ma donne e bambini sono veramente al limite; ci sono due donne con problemi di cuore che hanno finito i farmaci ed hanno bisogno di uscire immediatamente.
Qual è la situazione dei bambini?
Ci sono 44 bambini sotto i 12 anni, mentre il totale dei minori è 63. Provano a giocare con le bottiglie dell'acqua e sono gli unici che riescono a farci distrarre un attimo. Di notte, però, faticano a dormire. Da ieri, quasi tutti sono stati contagiati da una malattia della pelle che non conosciamo. Due bambini di uno e due anni e mezzo, soli con la mamma perché il padre è stato ucciso in Siria, stanno particolarmente male: nella giornata di ieri, sono stati portati cinque volte in ospedale perché soffrono di asma e stare in questo luogo di detenzione equivale a dormire in una discarica. Siamo preoccupati anche per un'altra bambina di 4 anni, malata di cuore, che aveva iniziato a lamentarsi per il dolore già in mezzo al mare.
Perché siete fuggiti dalla Siria?
Tanti di noi sono scappati per evitare la leva obbligatoria nell'esercito di Assad, altri sono attivisti contro il regime che rischiavano la vita. Ci sono poi famiglie che hanno lasciato le proprie case perché non riuscivano a sopravvivere: in alcune città, si muore di fame a causa dell'assedio dell'esercito regolare, che non fa entrare i viveri. Mancano il pane e il latte per i bambini, mentre il riso, quando si trova, costa quasi venti dollari al chilo. La vita così è impossibile, ecco perché siamo scappati.
Avete parlato con un avvocato o con le autorità internazionali?
No, nessuno di noi ha potuto parlare con un legale o ha ricevuto un foglio con scritte le motivazioni del proprio fermo. Abbiamo incontrato un avvocato di nome Ahmad, che inizialmente si è presentato come appartenente all'Unhcr, ma poi ha iniziato a terrorizzarci minacciando il rimpatrio e rivelando di lavorare per la Sicurezza Nazionale egiziana. È la nostra paura più grande, perché equivarrebbe ad una condanna a morte; anche tornare in Libano sarebbe molto pericoloso, dato che è già successo che gli Hezbollah consegnassero alcuni profughi agli uomini di Assad. Dopo una settimana dall'incontro con Ahmad, si è ora presentato un funzionario dell'Onu (almeno così ci ha detto) insieme ad un interprete, a cui abbiamo spiegato come siamo finiti nel commissariato.
Com'è successo?
Ciò che è accaduto prima del nostro arresto è stato un incubo. Eravamo pronti ad affrontare il Mediterraneo per raggiungere l'Europa e ci siamo affidati a degli scafisti, che ci trattavano male, urlando parolacce e minacciando con le spranghe perfino i bambini. Con piccole barche, siamo stati portati a gruppi su un'imbarcazione più grande, dove siamo rimasti parcheggiati in mare anche per sette giorni, in attesa che si riempisse fino a 250 persone. Quando eravamo pronti per partire, gli stessi scafisti si sono accorti che la barca stava per affondare. È stato il momento peggiore da quando abbiamo lasciato la Siria: potevamo morire e nessuno lo avrebbe saputo. Poi, dopo una lite scoppiata tra gli scafisti sulla barca e gli organizzatori rimasti a terra, siamo riusciti a convincerli a riportarci indietro; siamo passati davanti alla Guardia costiera, ma nessuno ci ha visto. Giunti sulla spiaggia, ci siamo consegnati noi stessi alle autorità egiziane, chiedendo aiuto, ma da quel giorno, il 14 aprile, siamo stati tutti arrestati, compresi i bambini.
Avete notizie di altri profughi detenuti in Egitto?
Certo, abbiamo informazioni dettagliate perché sono membri delle nostre stesse famiglie. La moglie di un uomo che è qui ad Al Rashid è detenuta in un altro posto, poi sappiamo dove sono i compagni di viaggio arrestati insieme a noi. Nel commissariato di Al Montazah ci sono 22 persone, 55 in quello di Chabrakhit e un numero imprecisato - ma con tanti bambini - a Miami.
Cosa chiedete?
Chiediamo il rispetto dell'articolo 33 della Convenzione di Ginevra che proibisce a qualunque paese aderente il respingimento (refoulement) di persone in paesi in cui la loro vita o la loro libertà sarebbero minacciate. Chiediamo all'Unhcr e alle ambasciate europee (abbiamo avviato contatti con quella austriaca) di poter presentare domanda di asilo. Agli europei diciamo: vorreste che i vostri bambini avessero come tomba il Mediterraneo? Aprite un corridoio umanitario, permetteteci di salvare le nostre vite legalmente.(R.it)
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