Jihadisti «made in Ue»: gli Stati corrono ai ripari...
I servizi segreti europei sono in allerta da tempo. Ma solo nell’ultima settimana, Gran Bretagna e Francia hanno lanciato due iniziative ad hoc. Segno che non si tratta più di casi isolati. I jihadisti che partono per la Siria con in tasca il passaporto Ue sono ormai un fenomeno diffuso: dal rapper tedesco Denis Cupert, in arte Deso Dogg, al militare francese, alle 10 mogli britanniche che avrebbero seguito i mariti, all’italiano morto nel conflitto. E allarmante.
Le stime parlano di almeno 2mila. La metà proviene da Londra e Parigi, con 500 aspiranti islamisti a testa, seguite da Germania – circa 300 – Belgio – tra i 220 e i 250 – e Olanda, 100 e altrettanti dalla Danimarca. Ad “accoglierli” è soprattutto lo Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isis), in cui la gran parte dei combattenti è straniera. Questo spiega l’isolamento della formazione nel conflitto siriano, espulsa perfino dalla galassia qaedista. Anche i gruppi fondamentalisti più ortodossi come Ahrar al-Sham e al-Nusra incorporano occidentali nelle loro fila, soprattutto europei.
Per canadesi e statunitensi – comunque presenti – è più complessa la logistica del viaggio, per via della distanza, e meno diffusa l’esistenza di gruppi autoctoni radicali. Sono questi ultimi i “ponti” per arruolarsi tra i jihadisti. La trafila, una volta ottenuto il “contatto”, è relativamente semplice: si acquista un biglietto per la Tuchia, da lì si raggiunge il fronte. E comincia il jihad. Già, perché chi va a combattere in Siria, non lo fa tanto per abbattere il regime di Bashar al-Assad, quanto per costruire uno Stato integralista musulmano nel cuore del Medio Oriente. Un’occasione unica per i radicali: gli “esperimenti” finora realizzati – dall’Afghanistan alla Somalia – riguardavano la periferia del mondo islamico. La Siria, al contrario, anche dal punto di vista simbolico, ne è il cuore. Da qui la mobilitazione massiccia e anche l’assenza di un fenomeno analogo per quanto riguarda le formazioni laiche che si oppongono al dittatore. A parte gli esuli siriani o i loro discenti, nessun europeo si unisce all’Esercito libero.
È proprio la fascinazione jihadista a preoccupare. Il pericolo – affermano gli esperti – si chiama “blowback”, cioè “contraccolpo”. Che cosa faranno gli ex guerriglieri una volta rientrati a casa? Certo, non tutti proseguiranno l’attività terroristica nel Vecchio Continente. Secondo le stime dell’analista Thomas Hegghammer, solo un veterano estremista su nove ha collaborato ad attentati in Occidente negli ultimi trent’anni. L’esempio afghano, però, fa presupporre che almeno una minoranza “importerà” in patria le tecniche apprese al fronte. La parola d’ordine è, dunque, prevenire. Arginando le partenze sia con campagne di sensibilizzazione sia incrementando i controlli. L’Inghilterra ha scelto la prima strategia per decapitare le “fucine jihadiste” concentrate a Londra, Birmingham e Manchester. Le autorità hanno lanciato una campagna rivolta alle donne musulmane affinché dissuadano i figli e i mariti dall’arruolarsi. Da gennaio, sono già 40 le persone arrestate per aver aderito a gruppi terroristi attivi in Siria, contro i 25 dell’anno scorso. Parigi, dal canto suo, ha approvato un piano che abbina la «dissuasione alla prevenzione».
A tal fine, come annunciato dal ministro del-l’Interno Bernard Cazeneuve, verrà ripristinata l’autorizzazione per i minori che intendano lasciare la Francia. I genitori che notino comportamenti sospetti nei figli, inoltre, potranno avere assistenza. Al contempo, è stata rafforzata la sorveglianza di alcuni gruppi – siti, moschee, comunità – “sensibili”. Il governo ha deciso di alzare la guardia. Il timore è che la scoperta, qualche settimana fa, di un uomo a Cannes intento ad organizzare un attacco sia solo la punta dell’iceberg.
Le stime parlano di almeno 2mila. La metà proviene da Londra e Parigi, con 500 aspiranti islamisti a testa, seguite da Germania – circa 300 – Belgio – tra i 220 e i 250 – e Olanda, 100 e altrettanti dalla Danimarca. Ad “accoglierli” è soprattutto lo Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isis), in cui la gran parte dei combattenti è straniera. Questo spiega l’isolamento della formazione nel conflitto siriano, espulsa perfino dalla galassia qaedista. Anche i gruppi fondamentalisti più ortodossi come Ahrar al-Sham e al-Nusra incorporano occidentali nelle loro fila, soprattutto europei.
Per canadesi e statunitensi – comunque presenti – è più complessa la logistica del viaggio, per via della distanza, e meno diffusa l’esistenza di gruppi autoctoni radicali. Sono questi ultimi i “ponti” per arruolarsi tra i jihadisti. La trafila, una volta ottenuto il “contatto”, è relativamente semplice: si acquista un biglietto per la Tuchia, da lì si raggiunge il fronte. E comincia il jihad. Già, perché chi va a combattere in Siria, non lo fa tanto per abbattere il regime di Bashar al-Assad, quanto per costruire uno Stato integralista musulmano nel cuore del Medio Oriente. Un’occasione unica per i radicali: gli “esperimenti” finora realizzati – dall’Afghanistan alla Somalia – riguardavano la periferia del mondo islamico. La Siria, al contrario, anche dal punto di vista simbolico, ne è il cuore. Da qui la mobilitazione massiccia e anche l’assenza di un fenomeno analogo per quanto riguarda le formazioni laiche che si oppongono al dittatore. A parte gli esuli siriani o i loro discenti, nessun europeo si unisce all’Esercito libero.
È proprio la fascinazione jihadista a preoccupare. Il pericolo – affermano gli esperti – si chiama “blowback”, cioè “contraccolpo”. Che cosa faranno gli ex guerriglieri una volta rientrati a casa? Certo, non tutti proseguiranno l’attività terroristica nel Vecchio Continente. Secondo le stime dell’analista Thomas Hegghammer, solo un veterano estremista su nove ha collaborato ad attentati in Occidente negli ultimi trent’anni. L’esempio afghano, però, fa presupporre che almeno una minoranza “importerà” in patria le tecniche apprese al fronte. La parola d’ordine è, dunque, prevenire. Arginando le partenze sia con campagne di sensibilizzazione sia incrementando i controlli. L’Inghilterra ha scelto la prima strategia per decapitare le “fucine jihadiste” concentrate a Londra, Birmingham e Manchester. Le autorità hanno lanciato una campagna rivolta alle donne musulmane affinché dissuadano i figli e i mariti dall’arruolarsi. Da gennaio, sono già 40 le persone arrestate per aver aderito a gruppi terroristi attivi in Siria, contro i 25 dell’anno scorso. Parigi, dal canto suo, ha approvato un piano che abbina la «dissuasione alla prevenzione».
A tal fine, come annunciato dal ministro del-l’Interno Bernard Cazeneuve, verrà ripristinata l’autorizzazione per i minori che intendano lasciare la Francia. I genitori che notino comportamenti sospetti nei figli, inoltre, potranno avere assistenza. Al contempo, è stata rafforzata la sorveglianza di alcuni gruppi – siti, moschee, comunità – “sensibili”. Il governo ha deciso di alzare la guardia. Il timore è che la scoperta, qualche settimana fa, di un uomo a Cannes intento ad organizzare un attacco sia solo la punta dell’iceberg.
Lucia Capuzzi
(Avvenire.it)
Commenti