Bangui, "Sparano, tutti a terra": dove non si sta sicuri neanche negli ospedali...
L'ospedale in un campo per sfollati allestito da Medici Senza Frontiere(Msf). La Repubblica Centrafricana è sprofondata nel caos ed è stata segnata da colpi di Stato e guerre civili sin dall'indipendenza dalla Francia conquistata nel 1960, ma il conflitto attuale è senza precedenti
dal nostro inviato ROSALBA CASTELLETTIBANGUI - "Sparano. Tutti a terra". C'è chi si mette al riparo di una panca, chi si stende per terra. L'ospedale in un campo per sfollati dovrebbe essere un luogo inviolabile anche durante un conflitto, ma da quando la Repubblica Centrafricana è sprofondata nel caos non si è al sicuro neppure qui. "In giornate come questa, dobbiamo fermarci tre o quattro volte ogni ora.Talvolta, come due giorni fa, siamo costretti ad interrompere del tutto le attività", sospira Francesco Di Donna, 36 anni, milanese, responsabile medico dell'ospedale da campo, allestito da Medici Senza Frontiere (Msf) tra gli sfollati che hanno trovato riparo presso l'aeroporto M'Poko della capitale Bangui.
I rapporti di forza rovesciati. La Repubblica Centrafricana è stata segnata da colpi di Stato e guerre civili sin dall'indipendenza dalla Francia conquistata nel 1960, ma il conflitto attuale è senza precedenti. La maggioranza cristiana e la minoranza musulmana avevano sempre convissuto pacificamente prima che, un anno fa, "l'alleanza" di formazioni ribelli - o "Seleka" nella lingua locale sango - rovesciasse l'ex presidente François Bozizé e Michel Djotodja diventasse il primo musulmano a guidare il Paese. I Seleka, musulmani, molti provenienti dal Ciad e dal Sudan, per mesi hanno saccheggiato e ucciso la popolazione a maggioranza cristiana. I rapporti di forza si sono rovesciati lo scorso dicembre quando le milizie cristiane e animiste degli "anti-balaka", ossia anti-machete, hanno iniziato a vendicarsi sulla popolazione musulmana. Con armi artigianali, più spesso col machete. Sotto le pressioni della comunità internazionale, Djotodja è stato costretto a dimettersi il 10 gennaio ed è fuggito in esilio in Benin.
Alla mercé delle milizie cristiane. Due settimane dopo, i Seleka hanno abbandonato il loro quartier generale a Bangui, Camp de Roux, e il campo Kasaï, lasciando i civili musulmani alla mercé delle milizie cristiane. Nel campo M'Poko gli sfollati sono tutti cristiani. Si sono accampati qui, appuntando tende o costruendo baracche lungo la pista aerea perché la presenza dei soldati inviati lo scorso dicembre dalla Francia li rassicurava. All'inizio di dicembre erano poche migliaia, oggi sono oltre 100mila. Preferiscono lo squallore che li circonda alla paura di tornare nelle aree controllate dai Seleka. Campeggiano attorno a velivoli leggeri abbandonati e molti dormono per terra. "Tornerò a casa solo quando ci sarà di nuovo pace", dice Gladys, 22 anni. Ha trovato residenza a M'Poko insieme alla famiglia di 16 persone. Si trova nel reparto maternità dell'ospedale di Msf con il figlio della sorella, visibilmente denutrito.
Il lavoro di Msf. "Non c'è più lavoro, non sappiamo dove trovare il cibo. Si ammala in continuazione". Passa un'infermiera locale, sfollata anche lei. Nonostante le continue interruzioni dovute alle sparatorie, Msf pratica centinaia di consulti e una media di 10 parti al giorno. Operai impastano il catrame per l'ampliamento dei reparti. I posti letto nell'ospedale da campo sono 60, ma presto diventeranno 80. In tutto il paese dove opera dal 1997, Msf fornisce cure mediche gratuite a circa 400mila persone in 12 ospedali, 16 centri sanitari e 40 centri di salute. "Vediamo atrocità ogni giorno. È una catastrofe di massa che avviene sotto gli occhi dei leader internazionali. Non rispondere è una scelta consapevole e deliberata di abbandonare a loro stessi gli abitanti della Repubblica Centrafricana", ha detto Joanne Liu, presidente di Msf International. "Occorre mobilitarsi adesso, non tra un mese, non tra altri sei mesi".
A M'Poko è un viavai di ambulanze. Il 60 per cento dei feriti d'arma da fuoco è stato colpito da una pallottola vagante. "Tra loro anche molti bambini. Pochi giorni fa ne è arrivato uno di quattro anni. Una pallottola vagante lo aveva colpito all'orecchio penetrando sino alla gola e fermandosi a pochi metri dalla giugulare", racconta l'infermiera Carlotta Berutto, 32 anni. Nel reparto delle emergenze c'è un ragazzo con un occhio bendato. "Ha una pallottola ancora nell'occhio", spiega Di Donna mostrando la lastra. Casi come questi vengono trasferiti all'Hôpital Communautaire. Qui musulmani e cristiani sono ricoverati insieme. Nell'infermità ritrovano la convivenza, non senza diffidenza reciproca. La testa di Yusuf, giovane musulmano, è stata colpita da un machete. Una lunga cicatrice raggrinzita corre dall'occhio sinistro lungo tutto il suo cranio rasato.
Stava morendo in mezzo ad altri morti. "L'hanno trovato che spirava tra corpi senza vita. I suoi familiari, se sono ancora vivi, non sanno che si trova qui. È solo", protesta Umari che da giorni se ne prende cura come un padre mentre tampona il solco sulla fronte del ragazzo. È steso su un materassino di fortuna sotto una delle tende che accolgono i feriti nel cortile. I letti dell'ospedale non erano più sufficienti a sostenere il ritmo dei ricoveri delle ultime settimane. Samaola ha 23 anni: è musulmano e vorrebbe fuggire in Ciad benché la ferita d'arma da fuoco al piede non si sia ancora rimarginata. Paul Bruno, 46 anni, è cristiano e scalpita per tornare dalla sua famiglia: a ferirlo sono stati i Seleka.
Torture e vessazioni. In un angolo c'è Said, trent'anni. Ha la gola e la testa fasciata. Musulmano, era stato arrestato dai Seleka perché non copriva i capelli. Ha trascorso cinque mesi a Camp de Roux, subendo torture e vessazioni giornaliere. Sul corpo porta ancora i segni di bruciature con i carboni ardenti. Il 27 gennaio, il giorno in cui i ribelli hanno lasciato il campo, hanno portato lui e altri quattro prigionieri nella boscaglia e tagliato loro la gola. Sono morti tutti tranne Said. Lo hanno trovato agonizzante i soldati della missione francese Sangaris e della forza di pace africana Misca. Ora un collare gli sorregge la gola recisa, ma è vivo. I miracoli ogni tanto succedono, anche a Bangui....(R.it)
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