Ucciso il religioso simbolo di Homs, sheikh Safwan Masharqa...(video)



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20 dicembre 2013 – Homs, Hay Al Waer
L’esercito siriano ha ucciso ieri in un bombardamento mirato il religioso simbolo di Homs, Sheikh Safwan Masharqa, imam della moschea di Omar. La guida spirituale del quartiere di Al Waer, sotto assedio da oltre 500 giorni, era sul pulpito e stava celebrando la funzione del venerdì, in una moschea gremita di fedeli di ogni età. Per tutta la durata del sermone fuori dalla moschea sono proseguiti gli spari, finché, nel bel mezzo del sermone, non sono iniziati i colpi d’artiglieria. Il primo ordigno ha colpito il centenario minareto, come documenta un video girato da un citizen reporter che si trovava in strada. Altri reporter, che stavano partecipando alla preghiera e si trovavano tra le file dei fedeli, hanno acceso i telefonini e hanno ripreso i drammatici istanti succeduti alla prima deflagrazione. Tra le centinaia di persone inermi radunate in preghiera è esploso il panico; un giovane è rimasto ferito alla testa; l’imam ha invitato tutti alla calma, sollecitando i fedeli ad avere pazienza, coraggio, facendoli riflettere su chi usa la violenza ad ogni costo, su chi bombarda i luoghi di culto. Pochi istanti dopo una seconda bomba, che ha colpito con precisione chirurgica la postazione della guida spirituale. L’imam Safwan Masharqa, in piedi sul minbar, il pulpito,  è spirato sul colpo.
Un attacco mirato, con artiglieria “leggera”, su un obiettivo preciso: il Sheikh della moschea. L’attacco, infatti, è stato portato a termine con “precisione”: non è stata l’aviazione a bombardare, quindi l’obiettivo non era compiere una strage, ma eliminare per sempre la voce dei fedeli musulmani della Homs assediata, sheikh Safwan Masharqa.
Chi era quest’uomo? Sheikh Safwan Masharqa era l’imam dell’antichissima moschea di Omar, responsabile per la tutela dei beni religiosi immobili  - awqaf – di Homs. Un trait d’union tra la comunità dei fedeli e le autorità. Dal 2011, con l’inizio delle violenze, ebbe un ruolo determinante nell’invitare i giovani manifestanti a mantenere un comportamento pacifico, impegnandosi in prima persona per proteggere i civili, lanciando appelli per il rispetto dei diritti umani. Questo suo impegno gli è costato due arresti, duranti i quali ha subito torture e umiliazioni di ogni genere. Sheikh Safwan non ha mai abbandonato la sua moschea, i suoi fedeli, il suo quartiere, la martoriata città di Homs.
Avevamo conosciuto questa guida religiosa già dai primi mesi della rivolta siriana. Il 18 agosto 2011, quando migliaia di giovani di Homs si radunarono sotto l’orologio, il monumento simbolo della città, per protestare contro le violenze del regime, Sheikh Safwan dialogò con loro, conducendo la trattativa per richiamarli alla calma dopo l’ennesima strage che aveva ucciso bambini e civili indifesi. Per tutta risposta quella notte il regime aprì il fuoco sui ragazzi in sit in, provocando centinaia di vittime. Non si limitava alle sue funzioni all’interno della moschea, ma andava in mezzo alla gente, parlava ai giovani, invitava i militari ad abbandonare le armi; era l’imam simbolo del dialogo con i religiosi cristiani, che chiamava fratelli. Era presente ogni volta che ce n’era bisogno, come il giorno del massacro di Shara’è Settin, adoperandosi in prima persona per soccorrere i feriti.
Con la sua morte Homs non ha perso solo un padre spirituale, ma ha perso un simbolo della lotta non violenta, dell’invito al dialogo, un simbolo della resistenza contro le violenze del regime, un uomo che ha saputo opporsi con coraggio, nonostante le ripetute intimidazioni, la tortura e la prigionia. Avrebbe potuto comportarsi come altri religiosi, che per mantenere i propri privilegi sono tutt’ora conniventi, ma Sheikh Safwan era un figlio del popolo e affianco al popolo è voluto rimanere, fino alla fine, morendo da martire e da eroe sul pulpito della sua moschea, morendo nel pieno di una funzione religiosa. Quando i fedeli lo hanno visto morire, hanno cominciato a scandire slogan di rivolta all’interno della stessa moschea.
Sono riuscita a contattare Homs questa mattina, parlando con uno dei suoi stretti collaboratori: “Era un padre, un fratello, un marito, amico. Hanno ucciso la nostra storia, l’uomo che ci dava speranza ed equilibrio. Lo hanno colpito per renderci orfani, per uccidere insieme a lui la rivolta pacifica, l’identità stessa della Siria. E’ morto da puro. Lo ha ucciso il regime, con i suoi alleati”.
Il giovane colpito alla testa è deceduto poche ore dopo all’ospedale da campo. Anche durante il funerale i colpi di mortaio non si sono mai interrotti. Stamattina Homs è di nuovo sotto un massiccio bombardamento.
Video 1- Il primo ordigno colpisce il minareto della moschea Omar

Video 2 – Il secondo ordigno colpisce il pulpito, uccidendo Sheikh Safwan Masharqa

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