L’Onu copre la campagna di Assad per fare “arrendere i civili”...


Le Nazioni Unite nascondono il blocco degli aiuti imposto da Damasco. L’esercito siriano riguadagna terreno...




Il sito del mensile americano Foreign Policy accusa le Nazioni Unite di essere complici del governo del presidente Bashar el Assad, che blocca sistematicamente ogni assistenza umanitaria ai civili siriani. In particolare l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) nasconde al pubblico notizie essenziali sulle operazioni di Assad contro la sua popolazione. L’ufficio di New York teme che se divulgasse i dettagli la pressione internazionale contro Damasco aumenterebbe enormemente e preferisce salvare un po’ di credito per negoziare con gli assadisti un ultimo, risicato margine di accesso degli aiuti umanitari al paese.
Secondo un articolo recente dell’inviato del Wall Street Journal a Damasco, Sam Dagher, l’esercito siriano usa una “strategia della fame” per piegare la resistenza di alcune zone densamente popolate da civili che restano fuori dal controllo del governo e appoggiano l’insurrezione armata. Gli ufficiali siriani riassumono esplicitamente così: “Li affamiamo finché non si arrendono”. Tra le aree assediate dall’esercito c’è anche l’immensa periferia agricola della capitale, chiamata Ghouta, che ad agosto è stata colpita da un attacco con armi chimiche che ha fatto più di mille morti e dove ora in molti settori il cibo non è fatto passare. Il quartiere dove la situazione è peggiore è Moadamiyeh, dove i rifornimenti e i medicinali non arrivano da mesi. I civili rimasti sono arrivati a mangiare gli animali domestici e l’erba, ci sono casi di morte per malnutrizione e i soldati siriani hanno chiuso un tratto di autostrada che scavalca la zona perché alcuni abitanti caritatevoli di Damasco lanciavano sacchetti di cibo dai finestrini nella certezza che sarebbero stati raccolti dagli abitanti allo stremo. La corrispondenza di Dagher è stata poi confermata da numerosi pezzi giornalistici, che però non hanno fatto rumore, come se la Siria avesse ormai abituato al peggio.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, almeno nove milioni e mezzo di siriani hanno bisogno di aiuti e due milioni e mezzo non sono raggiungibili. Anche l’opposizione armata usa la strategia dell’assedio, per esempio contro due villaggi sciiti vicino al confine con la Turchia, ma la differenza di scala con la campagna sistematica del governo è enorme. Le associazioni per i diritti umani sono “furiose” – scrive Colum Lynch su Foreign Policy –  perché le Nazioni Unite non dicono che il governo siriano blocca gli aiuti, ma si limitano invece a denunciare genericamente la situazione drammatica.
“Entrambi i fronti (governo e ribelli) vogliono fare la parte di chi distribuisce il cibo alla popolazione, ma Assad ha detto chiaramente che non lascerà nutrire i siriani a nessun altro – dice Joshua Landis, un professore americano che è considerato uno degli esperti più informati sulla Siria – la speranza di Assad è che la popolazione torni strisciando da lui per il pane, i salari e altri sussidi”. Landis sostiene che il piano di Assad sta funzionando anche all’esterno, non soltanto con i siriani: “Se l’occidente vuole fermare il flusso di profughi e salvare vite, e sono due tra gli obbiettivi più importanti, il modo migliore per farlo è pompare calorie dentro la Siria. E il modo migliore per pompare calorie dentro la Siria è passare per Assad. Lui ha in mano i siriani e la distribuzione di cibo gli donerà nuova legittimazione”.

Il capo carismatico centrato da un missile
L’esercito di Bashar el Assad sta avanzando e sta conquistando parti di territorio importanti. A nord sta arrivando alle porte di Aleppo dopo aver preso la città di al Sefira, dove c’è un impianto militare per la produzione di armi chimiche che la squadra di ispettori delle Nazioni Unite non è riuscita a vedere. Aleppo è divisa a metà tra ribelli e soldati del governo dal luglio 2012, ma i primi stavano avendo la meglio  e avevano tagliato le rotte di rifornimento degli assadisti. Adesso l’assedio è  rotto e i soldati di Assad stanno riprendendo i paesi attorno alla città, gli stessi che per più di un anno erano rimasti fuori dal controllo del governo: per la prima volta stanno riportando il potere di Assad in zone che ormai erano considerate saldamente in mano ai ribelli.
A Damasco sta avvenendo lo stesso: l’esercito riguadagna terreno, anche se con meno velocità rispetto ad Aleppo. Su entrambi i campi di battaglia la differenza rispetto al 2012 è la presenza indispensabile dei reparti stranieri che aiutano Assad: i libanesi di Hezbollah, le brigate di volontari sciiti che arrivano dall’Iraq e i consiglieri militari iraniani. I guerriglieri che combattono nel governatorato di Damasco appartengono al Jaysh al Islam – l’esercito dell’islam –, una fazione molto ampia che sta assorbendo i gruppi più piccoli e che è finanziata e armata dai sauditi. Il Jaysh al Islam è la risposta della corte saudita al disinteresse dell’Amministrazione americana per la Siria: da agosto, da quando la Casa Bianca ha fatto capire che non sarebbe intervenuta contro Assad, i sauditi hanno incrementato gli aiuti al gruppo guerrigliero per rafforzarlo contro le truppe lealiste e per sottrarlo all’influenza di al Qaida (nella sua doppia versione siriana: Jabhat al Nusra e Stato islamico), che si sta intestando la rivoluzione nella zona tra Aleppo e il confine turco.
Da venerdì un terzo fronte si è aperto sul Qalamoun, che è un contrafforte montagnoso che si affaccia sulla capitale da una parte e sul confine con il Libano dall’altra. Da qualche giorno gli aerei del governo colpiscono le postazioni dei ribelli, che però hanno avuto tutto il tempo di prepararsi – anche questi appartengono al Jaysh al islam.Gi
ovedì un bombardamento preciso ha  colpito una riunione dei capi della Liwa al Tawheed ad Aleppo e ha ucciso il suo leader militare, Abdel Qader Saleh. E’ chiaro che il governo di Assad dispone di informazioni d’intelligence sempre migliori sui movimenti e sulle posizioni dei ribelli. Saleh, 33 anni, era una figura carismatica, popolarissimo fra i suoi, rispettato da al Qaida, considerato un interlocutore possibile dall’occidente. Aveva cominciato partecipando alle proteste pacifiche contro il governo, era passato alla lotta armata per reagire alla campagna di repressione dei militari, aveva venduto i beni di famiglia per mettere in piedi una delle prime unità combattenti e ora comandava una delle formazioni più grandi dei guerriglieri. Adesso è morto, come da tempo è successo alla prima fase della rivoluzione siriana.

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