I media hanno dimenticato la Siria, ma la guerra civile c’è ancora...


Di Pietro Torri,

Quanto abbia vita breve l’interesse dei media per una notizia e quanto è breve anche lo sdegno dei politici e dell’opinione pubblica lo si può vedere dal caso Siria. Non sono passati ancora tre mesi dall’attacco compiuto con i gas nervini nel quartiere di Ghouta e nessuno parla più della guerra civile siriana. Ogni tanto appare qualche lancio di agenzia ma i titoli nei telegiornali sono praticamente scomparsi. Eppure la guerra civile continua e continuano anche i morti civili e gli attentati suicidi, come quello che, mentre era in corso una riunione di alcuni ministri coi responsabili della sicurezza siriana, ha provocato la morte del cognato del presidente Bashar al-Assad e del ministro della Difesa, oltre al ferimento del ministro dell’Interno Mohammad Ibrahim al-Shaar e del capo dell’intelligence Hisham Bekhtyar.
La nota positiva è che il 31 ottobre l’OPAC, l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche dell’Onu, ha fatto sapere che “il governo della Siria ha completato la distruzione funzionale delle apparecchiature essenziali per tutti i suoi impianti di produzione di armi chimiche dichiarate e degli impianti di miscelazione/riempimento, rendendoli inutilizzabili. In questo modo, la Siria ha rispettato il termine fissato dall’ONU che imponeva di completare al più presto possibile, comunque entro il 1° novembre 2013, la distruzione della produzione di armi chimiche e degli impianti di miscelazione/riempimento“. A questo punto dovrebbero rimanere nell’area solo le armi chimiche in mano ai ribelli e pertanto se venissero usate si saprebbe di chi è la responsabilità.
È stato un classico esempio di successo, anche se fortuito, della diplomazia del bastone e della carota. Gli americano hanno sventolato il bastone dell’intervento militare e i russi la carota dell’opzione diplomatica che avrebbe portato alla distruzione dell’arsenale chimico di Assad. Il segretario di stato Kerry ha accettato pensando di andare a vedere il bluff e, dimostrando ancora una volta che l’amministrazione Obama non ha il polso di quanto succede in Medio Oriente, è riuscito in un colpo solo a trovarsi isolato sul piano internazionale e ad incrementare l’influenza di Putin nell’area. Il vantaggio per tutti è che si è disinnescata l’opzione militare che avrebbe favorito gli insorti.
Perché la cattiva notizia è che la fazione ribelle è sempre più in mano agli integralisti islamici.
All’inizio la rivolta ha avuto almeno la parvenza di una sollevazione di popolo contro il despota Assad ma nel giro di pochi mesi si è manifestata per quello che è, una guerra civile tra sciiti e sunniti e il fronte ribelle non è mai riuscito a darsi un comando unitario che servisse a farlo diventare un interlocutore credibile per qualsiasi ipotesi negoziale.
Secondo uno studio di IHS Jane’s, società britannica di consulenza della difesa, pubblicato a settembre le forze che combattono il regime sono forti di circa 100 mila uomini, ma dopo più di due anni di guerra civile si sono frammentate in ben 1.000 bande.
Il Free Sirian Army, comandato dal generale Salim Idris e considerato espressione della fratellanza musulmana, è principalmente formato da disertori dell’esercito e dovrebbe avere, a seconda delle fonti, una consistenza che varia tra i 30 e i 50.000 uomini. L’esercito siriano era composto da una parte di militari di carriera, in grandissima parte alawiti, cristiani e drusi, e da una parte di coscritti, per la maggioranza sunniti, e proprio dai ranghi dei sunniti proviene la maggioranza dei componenti del FSA.
Il generale Idris ha cercato alla fine del 2012 di unire le forze ribelli sotto un comando unificato, il Supreme Military Command, controllato da una entità politica denominata Syrian National Coalition, che potesse coordinare le azioni militari contro Assad e creare l’embrione di un governo alternativo al regime. È stato riconosciuto come tale dai governi occidentali, ha basi logistiche in Turchia e Giordania e riceve aiuti e addestramento da Qatar, Francia, Gran Bretagna e USA. Purtroppo nel settembre scorso 13 tra i maggiori gruppi ribelli, quasi tutti di ispirazione salafita, hanno abbandonato la coalizione, considerata troppo filo occidentale, e hanno formato la Islamic Alliance che ha come obbiettivo la creazione di uno stato islamico governato dalla Sharia.
Questi gruppi sono a grandi linee divisi in tre entità: quelli più moderati, circa 30.000 uomini, si riconoscono nel Syrian Islamic liberation Front e ricevono gran parte degli aiuti dai servizi sauditi. Altri 30-35 mila sono islamisti intransigenti, riuniti nel Syrian Islamic Front, che condividono parte della visione dei jihadisti e ricevono aiuti dal Kuwait e dall’intelligence del Qatar ma il gruppo più pericoloso è quello formato da al Nusra, costola di al Qaeda irakeno, e dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, due formazioni che dovrebbero essere formate da circa 10.000 uomini, quasi tutti stranieri.
La strategia seguita fin qui da Obama , Hollande e Cameron è stata quella di cercare di dividere islamisti e laici ed aiutare solo questi ultimi. La CIA addestra da mesi gruppi di ribelli nei campi al confine con la Giordania, ma si guarda bene dal fornire armi a pioggia ai combattenti siriani per evitare di ripetere l’errore commesso durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. La politica del “divide et impera” ha ottenuto parziali successi, come nello scontro tra FSA e le milizie dello Stato Islamico avvenuto nella cittadina di Bab, ma la situazione sul campo porta inevitabilmente gli avversari di Assad a coalizzarsi contro il nemico comune e al Nusra può mettere sul tavolo una importante opzione militare che i gruppi moderati non hanno, gli attacchi suicidi.
Nonostante il generale Idris affermi che il Supreme Military Command controlli il 90% dei combattenti e che questi siano “moderati che combattono per la democrazia e la libertà” la realtà sul campo è molto diversa e la speranza che i governi occidentali ripongono nel fatto che i ribelli siano laici, sinceramente democratici e non commettano abusi e crimini di guerra appare sempre più un pio desiderio....
(QelsiQuotidiano)

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