Da manager a rifugiato: le storie che fanno paura anche a noi...
Un italiano su tre vive nell'ansia di perdere quello che ha. Lo mostra un'indagine Doxa commissionata dall'Unhcr. Per raccontare quanto ci siano vicine le migliaia di famiglie borghesi che stanno scappando dalla Siria. Dopo aver visto la loro vita andare in pezzi
di Francesca SironiLa prima volta era venuto a Roma da turista. La seconda è arrivato da profugo. Ricordava monumenti, alberghi, vetrine, quel paio di scarpe col tacco che la moglie non ha mai voluto indossare. Ora Hassan parla solo di carte, di inghippi, di persone che si scostano quando ti avvicini, di funzionari che fanno finta di non capire e attese, infinte, con la famiglia costretta a vivacchiare nei salotti di amici e conoscenti, consapevole del privilegio di avere almeno un tetto.
Hassan, 42 anni, è scappato l'anno scorso dalla Siria con la moglie, 37, e due figli di sette e 16 anni. Manager di punta di una grande azienda a Damasco, decise di fuggire per le persecuzioni del governo, che avrebbe voluto da lui i nomi dei dipendenti che mostravano simpatie per i ribelli. «Erano una famiglia agiata, ricca», racconta Valeria Galantucci dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr): «Ho visto le loro foto di casa: due piani, una fontana al centro, mobili di lusso. Avevano anche uno chalet in montagna e una villetta al mare».
Una vita tranquilla, borghese, stravolta dalla guerra. L' Unhcr ha commissionato a Doxa una ricerca per raccontare proprio questo, ovvero mostrare quanto sia importante la routine per gli italiani, mettendo a confronto quest'attaccamento con le condizioni indegne in cui vivono milioni di profughi nel mondo, persone che hanno dovuto rinunciare alla quotidianità a cui erano abituati, come potrebbe succedere a noi.
Un italiano su tre, racconta infatti la ricerca, vive nella paura di perdere quello che ha costruito. Uno su due ammette che la crisi economica ha peggiorato il suo tran tran di tutti i giorni, rendendo le famiglie più attente a tutto, a partire dalle le spese: il 26 per cento dei partecipanti al sondaggio teme di non poter più pagare l'automobile, il 10 esce meno di casa, molti raccontano di aver iniziato a tenere in considerazione, seriamente, chi vive inpovertà.
L'unico pilastro rimasto, per il 90 per cento degli intervistati, è la famiglia. Necessaria, dice la ricerca, per affrontare più serenamente la realtà. Lo ha pensato anche Hassan, che ad agosto del 2012, dopo un combattimento a fuoco fra esercito e ribelli intorno a casa, ha procurato un visto turistico per la moglie e i figli. Destinazione Italia, dove era già stato da businessman di successo, trattato coi guanti.
Questa volta, però, era senza soldi: tutti i suoi conti sono stati bloccati dal regime. «Il suo cruccio è che i figli possano studiare. Per questo ha fatto richiesta d'asilo politico in Italia, ben sapendo che comporta l'obbligo di restare qui almeno cinque anni», racconta Galantucci, che sta seguendo la raccolta fondi dell'Agenzia per sostenere la quotidianità di oltre 20 milioni di donne rifugiate nel mondo, intitolata " Routine is Fantastic ": «Il bambino piccolo ormai parla benissimo italiano ed è il secchione della classe. Il grande invece non ha intenzione di andare a scuola. Non sopporta la situazione in cui si sono ridotti. Ora è seguito da uno psicologo, ma ha molti problemi. Non accetta la distanza dal resto della famiglia, rimasta a Damasco, dagli amici, e la vita da “assistito”, da “ospite” non voluto, a cui è costretto da più di un anno».
Ora Hassan e la famiglia sono ospitati in un'appartamento per i rifugiati politici della Capitale. Un tetto a tempo a cui sono arrivati dopo sette mesi d'attesa, trascorsi nei salotti di amici o conoscenti. Per non disturbare troppo lui e la moglie hanno passato intere giornate invernali sui mezzi pubblici, a guardare dal finestrino musei, monumenti e negozi inaccessibili, seduti, per lo meno, al caldo. «Per un uomo come lui ridursi a questa vita è stato un shock», continua Valeria, che ha insegnato loro l'italiano: «Erano ricchi. Sereni. Ora sono totalmente disorientati. Appena arrivati in Italia hanno scoperto che il tassista che li aveva accompagnati al confine col Libano, un amico di famiglia, è stato ucciso per quella fuga. E pochi mesi fa hanno saputo che la loro casa è stata occupata da alcuni sfollati. Non hanno più nulla su cui fare affidamento».
Dopo mesi a lavorare gratis per imparare il mestiere, Hassan, a breve, diventerà socio di un piccolo imprenditore egiziano in una pizzeria-kebab di Roma. Qualcosa con cui ricominciare da capo una nuova routine...(L'ESPRSSO)
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