Il cecchino che non sbaglia un colpo e il cecchino buono....
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Aleppo; è metà pomeriggio e la giornata è scandita da continui spari. Le esplosioni, per fortuna, sono poche. Attraversiamo un quartiere residenziale in una delle zone liberate, in cui si alternano negozi chiusi e chioschi improvvisati. Siamo diretti ad un punto di primo soccorso dove si trovano alcuni neonati che lottano contro la morte. Qui la morte accompagna la vita come se fosse la sua ombra: nello stesso istante si possono vedere persone che comprano il pane e persone colpite dagli spari. L’auto procede tra mille buche, su quel che resta di una delle strade principali della città. I finestrini sono abbassati e sentiamo i rumori di una città i cui abitanti cercano di vivere. A un certo punto, entrati in una stradina secondaria, vediamo un’auto procedere a forte velocità con gli abbaglianti accesi e il clacson incessante. “È un trasporto di feriti”, mi spiegano. Chiedo se possiamo seguire l’auto e vengo accontentata. Arrivati di fronte a quello che sembra un normale palazzo, l’auto si ferma; si apre il portone di quel palazzo e ne escono due giovani con una barella: è un ospedale da campo. Dall’auto viene fatta scendere una donna col viso e un braccio sanguinante; nello stesso istante, accompagnata da un ragazzo, arriva una donna ferita ad una gamba. Mi fanno notare, per terra, un sudario bianco impregnato di sangue. Si tratta di un uomo di 34 anni, mi dicono. Sono tutti vittime dello stesso cecchino, appostato su un ripetitore, che non sbaglia un colpo. Quelle persone stavano comprando della verdura ed erano in fila, “prede facili”. Sulla stessa torretta, mi racconta un anziano, “la mattina si apposta un cecchino buono: anche lui spara, ma in aria e contro i muri. Ormai sappiamo quali sono i suoi orari e sbrighiamo le commissioni quando c’è lui. Dev’essere un ragazzo costretto a stare dove sta, diverso dai tiratori scelti che sparano sui civili al mercato”. Quello che più tardi incontro mentre scatto una foto alla vecchia rocca, è un franco tiratore…
Aleppo; è metà pomeriggio e la giornata è scandita da continui spari. Le esplosioni, per fortuna, sono poche. Attraversiamo un quartiere residenziale in una delle zone liberate, in cui si alternano negozi chiusi e chioschi improvvisati. Siamo diretti ad un punto di primo soccorso dove si trovano alcuni neonati che lottano contro la morte. Qui la morte accompagna la vita come se fosse la sua ombra: nello stesso istante si possono vedere persone che comprano il pane e persone colpite dagli spari. L’auto procede tra mille buche, su quel che resta di una delle strade principali della città. I finestrini sono abbassati e sentiamo i rumori di una città i cui abitanti cercano di vivere. A un certo punto, entrati in una stradina secondaria, vediamo un’auto procedere a forte velocità con gli abbaglianti accesi e il clacson incessante. “È un trasporto di feriti”, mi spiegano. Chiedo se possiamo seguire l’auto e vengo accontentata. Arrivati di fronte a quello che sembra un normale palazzo, l’auto si ferma; si apre il portone di quel palazzo e ne escono due giovani con una barella: è un ospedale da campo. Dall’auto viene fatta scendere una donna col viso e un braccio sanguinante; nello stesso istante, accompagnata da un ragazzo, arriva una donna ferita ad una gamba. Mi fanno notare, per terra, un sudario bianco impregnato di sangue. Si tratta di un uomo di 34 anni, mi dicono. Sono tutti vittime dello stesso cecchino, appostato su un ripetitore, che non sbaglia un colpo. Quelle persone stavano comprando della verdura ed erano in fila, “prede facili”. Sulla stessa torretta, mi racconta un anziano, “la mattina si apposta un cecchino buono: anche lui spara, ma in aria e contro i muri. Ormai sappiamo quali sono i suoi orari e sbrighiamo le commissioni quando c’è lui. Dev’essere un ragazzo costretto a stare dove sta, diverso dai tiratori scelti che sparano sui civili al mercato”. Quello che più tardi incontro mentre scatto una foto alla vecchia rocca, è un franco tiratore…
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