Storie....Salma...
La città vecchia di Damasco
Mi chiamo Salma, ho ventisei anni e vengo da Damasco. Io e mio marito siamo arrivati qua in Libano da un mese e mezzo. Siamo noi due da soli, anzi, presto saremo in tre: aspetto un bambino. Ci siamo sposati all’inizio della crisi e siamo andati a vivere a Duma, nella periferia di Damasco. Duma è uno dei primi quartieri a essersi rivoltato contro il governo: fin dall’inizio la gente è scesa in piazza a manifestare. Erano delle persone normali, dei civili. L’esercito veniva e gli sparava. Questo l’ho visto: arrivavano i militari e la gente fuggiva, si faceva sparare addosso. Noi abbiamo lasciato la nostra casa per sistemarci a Mleiha, un’altra zona di periferia. Da un anno intero a Duma la gente manifestava e c’erano dei morti; a Mleiha invece non succedeva niente! Era come abitare in un altro paese....
Durante quel periodo, a Duma, l’esercito ha iniziato a bombardare. Molta gente è fuggita, compresi dei membri della mia famiglia che sono venuti a vivere da noi; ma dopo un mese sono tornati a casa. Le persone preferiscono stare a casa loro: scappano quando ci sono troppi problemi, ma poi ritornano. La popolazione di Duma è già fuggita sei o sette volte! Il problema è che ogni volta che ritornano ci sono più distruzioni. Adesso a Duma non ci sono quasi più case, né servizi, né linee telefoniche…
Io ho continuato a lavorare, insegnavo l’informatica in una scuola vicina a Duma, ma a un certo punto ha chiuso perché il tragitto da casa per gli studenti era diventato troppo pericoloso. Mio marito aveva un negozio nel quartiere di Midan, nel centro di Damasco. Anche quel quartiere molto presto si è ribellato e ci sono stati dei problemi. Non c’erano quasi più clienti, mio marito non poteva più pagare né l’affitto del negozio né i materiali. Allora l’ha chiuso e ha deciso di venire in Libano.
Non ero d’accordo con la decisione di mio marito, volevo restare a Damasco con i miei genitori, ma lui e i suoi parenti avevano deciso di venire qua, e ho dovuto seguirli. A Damasco mia figlia abitava con noi. Ha cinque anni, l’ho avuta da un primo matrimonio. In Siria un minorenne ha bisogno dell’autorizzazione del padre per poter viaggiare. Suo padre ha rifiutato che la portassi qui con me, allora l’ho affidata a mia mamma e suo padre la visita di tanto in tanto.
Avevo paura della maniera in cui la gente ci avrebbe trattato, ma siamo stati molto fortunati. Mio marito ha trovato subito lavoro in un negozio in centro città, e io ho cominciato a lavorare qui, in questo centro per i bambini siriani rifugiati. Mio cognato era venuto per iscrivere i suoi figli, ha sentito dire che cercavano qualcuno per lavorare al computer, e ha detto: “Mia cognata lo sa fare!”
Meno di una settimana dopo il nostro arrivo, avevamo già un lavoro e un appartamento, con un affitto non troppo caro e in buone condizioni. So che siamo dei privilegiati: qui nel nostro centro vedo tutti i giorni molte altre famiglie siriane. Alcune persone non hanno nulla, neppure un materasso su cui sdraiarsi! È una situazione difficile, vorrei poterli aiutare, prestargli un po’ di soldi, ma sono troppo numerosi! E la cosa peggiore sono i bambini: alcuni di loro stanno molto male dal punto di vista psicologico. Qui nel nostro centro cerchiamo di aiutarli; a volte ci rallegriamo quando vediamo un bambino migliorare.
Spero di tornare a casa, vorrei vedere la mia famiglia, non ho voglia di rimanere qui. Io e mio marito abbiamo lasciato tutte le nostre cose a Mleiha, ci siamo detti che ci torneremo presto....
(Focus on Syria)
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