La vergogna di Cameron sulla Siria...

The Economist' giudica scioccante il voto contrario del Parlamento all'intervento armato in Siria. Il premier viene accusato di non essere stato determinato a dimostrare l'uso di armi chimiche da parte del regime di Assad...


David Cameron è stato l’interlocutore privilegiato di Barack Obama sull’intervento armato in Siria. Il premier inglese è stato per giorni a stretto contatto con il presidente degli Stati Uniti per decidere le azioni da intraprendere contro il regime di Bashar Assad, dopo l’uso delle armi chimichecontro i civili.
Invece, a sorpresa, il Parlamento britannico ha votato “no” alla guerra. Nella Camera dei Comuni sono stati 285 i voti contrari e 272 quelli favorevoli all’intervento in terra siriana. Uno schiaffo a Cameron, ma anche un imprevisto per gli Stati Uniti. La Casa Bianca ha infatti perso un prezioso sostegno, restando da sola con la Francia.
‘The Economist’ ha criticato duramente il voto parlamentare, ravvisando una perdita di potere di Londra nello scacchiere internazionale e titolando l’articolo “Il voto della vergogna”.
Per coloro che amano a credere che la Gran Bretagna sia in gran parte una forza per il bene nel mondo, un vigoroso sostenitore dell’ordine internazionale basato su regole, un paese con un record orgoglioso di utilizzo delle proprie risorse (economiche o militari) in difesa dei valori umanitari universali, il prode risultato di ieri sera alla Camera dei Comuni sull’azione militare contro la Siria è scioccante e vergognoso.
Dunque il magazine ha criticato la retromarcia della Gran Bretagna, puntando l’indice Cameron accusato di scarsa determinazione.
Avrebbe potuto e dovuto fare di più per mostrare che erano pretestuosi i parallelismi tra quello che lui stava proponendo di fare e l’uso di Tony Blair dei “dubbi dossier” che hanno portato alla guerra in Iraq. Nel suo desiderio di non esporsi troppo (Cameron, ndr) ha ammesso che non vi era il 100% delle prove sull’uso sistematico, e su larga scala, di agenti nervini da parte del regime di Assad.
Leggi qui l’intero articolo dell’Economist.
(il Journal)

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