Del Grande: In Siria è pulizia etnica...


di Daniele Biella

Di ritorno dalla martoriata Aleppo, l'ideatore dell'Osservatorio Fortress Europe racconta ciò che ha visto. "La gente vuole la pace, ma di fronte ai crimini del regime di Assad appoggia la resistenza armata dei ribelli"


“L’esercito regolare entra nei villaggi con i carri armati, distrugge tutto quello che incontra con il risultato di stragi fra i civili, una sorta di pulizia etnica”. Gabriele Del Grande, giornalista freelance che pubblica in Italia e all’estero (tra le testate con cui collabora c’è Time International) e fondatore di Fortress Europe, Osservatorio online che monitora gli sbarchi dei migranti sulle coste europee, è appena tornato da Aleppo, città simbolo della Siria di oggi perché ex gioiello della storia siriana, visitata da tutto il mondo ma ora irrimediabilmente rovinata dai combattimenti e divisa in due fronti, uno in mano alle truppe del regime di Bashar Al Assad, l’altra controllata dall’Esl, Esercito siriano libero. “Due settimane di incontri, immagini, orrori della guerra toccati con mano, in un territorio che oggi è la polveriera del mondo, dati gli interessi che si annidano dietro al conflitto”, racconta a Vita.it Del Grande.
Come in ogni guerra, anche sulla Siria la propaganda è ad alti livelli. Cosa succede davvero oggi nei luoghi che hai visitato?
C’è un re, Assad, che dopo 40 anni di regno ora ha perso totalmente il controllo del proprio Stato, tanto che per reprimere il dissenso ha come unico mezzo i cingolati, le armi e il terrore psicologico. Da molti mesi ormai il suo esercito spara sulla gente comune, uccidendo intere famiglie: si calcolano almeno 100mila morti civili in due anni, la quasi totalità da parte dei fedeli al regime. Gli stessi soldati vengono indottrinati con la forza a combattere, subiscono il lavaggio del cervello, non possono avere relazioni esterne. Chi rifiuta di compiere ordini viene ucciso, molti scappano: sono decine ogni settimana i disertori, alcuni dei quali alti ufficiali che ho conosciuto. La gente comune è oggi schierata in massa contro Assad proprio alla luce della folle repressione che ha messo in atto: ogni famiglia ha un fratello, un marito, uno zio che è andato a combattere per l’esercito siriano libero, e già si onorano i martiri, coloro che sono caduti in questa resistenza all’oppressore. L’appoggio ai ribelli avviene in modo naturale ma non indiscriminato, comunque: c’è molta critica interna, in primo luogo sull’uso delle armi, ma ora è l’unico modo per impedire la repressione del regime, quindi alla popolazione va bene che sia l’Esercito siriano libero a difenderla. Anche se, soprattutto la componente laica, ha presente che dietro all’Esl, composto da almeno 70mila unità, c’è anche una componente religiosa di 5-6mila uomini che lotta per la jihad, la guerra santa.
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Gabriele Del Grande
Il regime di Assad riceve appoggio e armi dall’Iran e dalla Russia, che blocca anche ogni tentativo di intervento dell’Onu. Chi supporta invece i ribelli?
In primo luogo Turchia, Qatar e Arabia Saudita, che hanno interesse a cambiare la situazione nell’area, facendo terminare la dinastia di Assad. Anche Al Qaeda si è inserita nel fronte ribelle, così come è molto attiva la componente dei Fratelli musulmani. Gli interessi sono forti da entrambe le parti, anche dal punto di vista della componente etnica, perché lo scontro tra sunniti e sciiti pervade tutto il continente, Siria compresa dove gli alawiti (come lo stesso Assad, ndr), legati agli sciiti, sono contro i sunniti. Nel frattempo l’Occidente, Europa compresa nonostante Francia e Inghilterra appoggino piuttosto apertamente i ribelli, finora è stato a guardare, perché non ha nulla da guadagnare o perdere nell’area.
Di recente Barack Obama ha comunque denunciato l’uso di armi chimiche in Siria, e paventato un’azione più decisa…
È uno specchietto per le allodole. Se volevano intervenire lo potevano fare molto prima: le armi chimiche sono in uso da un po’, ma in Siria stanno accadendo cose mai viste già dall’inizio del conflitto, e la ferocia delle violenze governative verso la popolazione civile è mille volte superiore a quella degli scontri in Libia, dove l’Onu è intervenuta per abbattere il regime di Omar Gheddafi. La comunità internazionale sta a guardare perché la Siria oggi è una polveriera, un eventuale intervento militare delle Nazioni Unite potrebbe portare devastanti effetti a catena in tutta l’area.
In Italia come altrove c'è chi parla ancora di ‘complotto imperialista’ dietro alla denuncia delle efferatezze del regime di Assad. Cosa rispondere?
Sono stato in Siria due volte, lo scorso settembre e ora, e mi ha fatto impressione la compattezza della volontà popolare: prima come opposizione nonviolenta al regime, poi, quando le cose sono precipitate, con l’appoggio alla scelta armata. La gente dice di volere la pace, ma non vuole più Assad. Ho parlato con studenti, muratori, falegnami, imprenditori: tutti hanno presente che è una guerra sporca, ma sottolineano il fatto che in questa fase così tragica non interessa loro se l’aiuto provenga dagli estremisti islamici o da qualsiasi altra fonte, l’importante è che arrivi questo aiuto. ‘Chi ci aiuta fa del bene, fosse anche la Coca cola’, mi è stato detto.
Cosa può succedere nel breve-medio termine?
La situazione è talmente compromessa che anche un’eventuale accordo oggi è inverosimile, perché anche l’unica possibilità che farebbe deporre le armi ai ribelli, ovvero la rinuncia al potere di Assad, non si realizzerà, non essendo avvenuto finora. Di certo molti, tra le fila degli oppositori al regime, considerano un errore l’avere imbracciato le armi senza avere prolungato le manifestazioni pacifiche che avrebbero potuto portare al cambiamento come nelle altre Primavere arabe. Ma il passato non si cambia, e oggi sempre più gente, attivisti compresi, è determinata a non concedere più nulla al regime, e a combattere fino all’ultimo respiro. 
(Vita.it)

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