Senza futuro le 500 bambine della scuola Cutuli in Afghanistan...


A Kush Rod, vicino a Herat. dove si trova l’istituto intitolato all’inviata del Corriere, si preparano a una nuova guerra civile con i talebani: «Ora la loro vita è a rischio».


di Andrea Nicastro
E ora? Ora che le truppe italiane sono pronte ad andarsene dall’Afghanistan, ora che l’America di Trump sembra aver raggiunto un accordo per permettere ai talebani di tornare al governo del Paese, ora cosa succederà alle 500 bambine che studiano nella bella scuole blu di Kush Rod intitolata alla giornalista del Corriere Maria Grazia Cutuli? Cosa succederà a loro? E cosa succederà a tutte le altre (e gli altri) che in 18 anni si sono opposti al terrorismo talebano, li hanno sfidati e hanno studiato altro oltre al Corano, hanno insegnato altro oltre ad alcuni precetti religiosi e hanno mandato a scuola le figlie oltre ai figli?

A Kush Rod, distretto di Injil, a 15 chilometri da Herat, si preparano a una nuova guerra civile. «Nessuno combatterà solo perché le figlie vadano in classe, ma temo che saremo costretti a farlo per difendere la loro vita e quella di tutta la famiglia» sostiene uno degli «anziani» del villaggio, Haji Khan Badrawi raggiunto al telefono dal Corriere. «Se i talebani potranno tornare in città con il permesso degli americani e non del governo afghano o dei comandanti locali, scatteranno le vendette, le ruberie, le violenze. Non si combatte per 23 anni per poi dividersi sorridenti i posti in municipio, alla dogana, nell’esercito, nella compagnia dei telefonini, ovunque si facciano affari».

A Injil la maggioranza della popolazione è di etnia hazara e segue l’Islam sciita. I talebani sono invece soprattutto pashtun e sunniti. Quando tra 1996 e 2001 gli «studenti del Corano» erano al potere, gli abitanti della valle scapparono in Iran: circa 150 su 200mila. «E mentre noi eravamo in esilio dei contadini pashtun hanno occupato le nostre fattorie. Per scacciarli non sono bastati i bombardieri B52 americani, ma abbiamo dovuto anche sparare parecchie fucilate. Erano terre nostre» si giustifica Haji Khan Badrawi. La vallata appoggiò in modo massiccio un «signore della guerra» che è ancora protagonista della politica nazionale, quell’Ismahil Khan di cui le cronache hanno raccontato prodezze e orrori.

Nella scuola blu «Maria Grazia Cutuli» studiano circa 500 bambine e 400 bambini. «I maschi possono anche andare a cercare una classe un poco più lontano, non è tanto pericoloso per loro camminare in campagna per un’ora o due. Così diamo la precedenza alle femmine che invece è bene restino più vicine a casa» spiega la preside del settore femminile Kinaaz. E’ un privilegio raro nel Paese che si prepara al ritorno dei talebani, ma è anche un piccolo miracolo della scuola costruita a 15 chilometri da Herat per ricordare il sacrificio della giornalista del Corriere della Sera uccisa nel 2001 proprio dai talebani.

Si spesero circa 130mila euro (con fondi tra gli altri della stessa famiglia della reporter, del Comune di Roma, della Regione e della Confindustria siciliane, dell’Ordine dei giornalisti, del Corriere), ma la logistica fu tutta del contingente militare italiano di base ad Herat. I nostri soldati hanno costruito negli anni un centinaio di scuole di questa taglia e molte altre ne hanno ristrutturate con fondi nazionali e, soprattutto, americani. Quest’attività edile era parte di un’esplicita strategia volta a premiare con infrastrutture utili allo sviluppo le aree più favorevoli al governo centrale di Kabul. Si sperava così di convincere anche gli altri che fosse più conveniente stare dalla parte dell’Occidente piuttosto che degli Studenti del Corano.

Con circa il 70 per cento del territorio ormai sotto il controllo o la minaccia talebana, bisogna prendere atto che purtroppo l’idea non ha funzionato, non è bastata a cambiare l’inerzia di un’economia drogata dai soldi di chi ha interesse a mantenerla nell’instabilità. Appena costruita, così brillante nel suo color lapislazzuli in un paesaggio dominato dal tono dell’argilla, così blu in un Paese dove il colore si riserva solo alle moschee, la scuola «Cutuli» sembrava un’esplicita sfida all’oscurantismo talebano. Said Ahmad, allora capo del consiglio degli anziani, confidò al Corriere il giorno dell’inaugurazione la sua preoccupazione: «Dovremo difenderla con grande attenzione perché è talmente diversa da ciò a cui siamo abituati, che sarà un obbiettivo simbolico, perfetto per i talebani». In nove anni, per fortuna, nulla è successo. Anzi, al comando italiano di Herat confermano che la scuola ha sempre funzionato con regolarità e continua a farlo. «Abbiamo così tante richieste – dice la preside Kinaaz – che i due turni, mattina e pomeriggio, non bastano più. Alle 8 classi in muratura originarie abbiamo dovuto aggiungerne altre in tenda».

«Siamo felici che la scuola sia aperta da tanti anni come speravamo — dice Mario Cutuli, fratello della giornalista uccisa e presidente della Fondazione a lei intitolata —. Siamo anche stati inseriti in un premio dell’Agha Khan Fundation sui progetti a favore dello sviluppo. Certo è una goccia nel mare, ma una goccia che ha aiutato comunque tanti bimbi sino ad ora».

«L’unica speranza per evitare la guerra civile – azzarda Haji Khan Badrawi – è che i nostri leader come Ismahil Khan possano raggiungere un accordo con i talebani per una spartizione del potere e delle aree di competenza». Si tornerebbe a un Afghanistan a macchia di leopardo, fratturato lungo linee etniche, tribali e confessionali, dominate dalla forza delle armi e dalla paura. Per chi ha sempre comandato non cambierebbe molto. Gli affari, dall’oppio all’estrazione mineraria, al commercio all’ingrosso per il consumo interno, continuerebbero indisturbati. Per tutti gli altri sarebbe la fine della speranza di un futuro migliore, in cui la guerra non sia l’unica prospettiva. In una recente intervista, Ismahil Khan ha invitato i talebani a negoziare non solo con gli americani e con il governo filo-occidentale di Kabul, ma anche con la «grande famiglia dei mujaheddin» per costruire assieme uno Stato «sinceramente islamico». Il problema per la scuola blu e le sue 500 allieve è che, come agli «studenti del Corano», anche al vecchio mujaheddin e signore della guerra conviene credere che un Paese «islamico» sia un Paese senza scuole e senza libertà...

(Corrire della Sera Esteri)

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