Ghetto di Varsavia, muri prigione e muri ad escludere, politica dell’odio...
Giorni della memoria, Shoah e Olocausto ieri. Razzismi di varia natura oggi. Il ghetto di Varsavia e il suo muro prigione, prologo dello sterminio. I muri a detenere, i muri ad escludere, di cemento, di filo spinato, di mari vietati.
Di Giovanni Punzo
Varsavia, 18 chilometri di muro
Ghetto di Varsavia, muri prigione e muri ad escludere
La storia ufficiale del ghetto di Varsavia cominciò ai primi di ottobre del 1940, quando le autorità naziste occupanti decisero di far affluire in un’unica zona della città la popolazione ebraica non solo di Varsavia, ma anche quella rastrellata dal resto della Polonia. Un muro lungo 18 chilometri e alto tre metri, sormontato da filo spinato, circondò dal 16 novembre un’area urbana estesa pressappoco tre chilometri quadrati rinchiudendo all’interno quasi quattrocentomila persone. Come era già accaduto nell’altra città polacca di Lodz, dove era stato creato uno spazio analogo, fu accampata la scusa di dover prevenire un’epidemia. Usando un’espressione eufemistica, come del resto i nazisti facevano spesso, il recinto fu definito ‘distretto abitativo’, ma in realtà si trattava di una soluzione temporanea, in attesa cioè di organizzare le deportazioni verso i campi di sterminio.
Dalla fame alla ‘soluzione finale’
Il grottesco camuffamento voluto dai nazisti non si limitò solo alla definizione ‘abitativa’ o alla motivazione igienica: fu istituito anche un consiglio che avrebbe dovuto collaborare nella gestione e nell’organizzazione delle attività e per vegliare sull’ordine interno fu creato un corpo di polizia ausiliaria reclutato tra gli stessi internati ebrei. Le prime deportazioni di piccoli gruppi cominciarono poco dopo, ma la situazione restava spaventosa sotto il punto di vista delle condizioni igieniche e soprattutto per la denutrizione, perché in pratica non arrivavano generi alimentari di alcun tipo: quando non si moriva per il tifo che ormai era impossibile debellare, si moriva semplicemente di fame. Nel frattempo, a Wannsee, nei pressi di Berlino, nel gennaio 1942, fu dato il via alla cosiddetta ‘soluzione finale della questione ebraica’: l’ennesimo eufemismo nazista significava in realtà l’eliminazione totale.
Majdanek e Treblinka
A partire dall’estate dello stesso anno i superstiti, ormai dimezzati, raggiunsero Majdanek e Treblinka trasportati da treni che facevano scalo direttamente a ridosso del muro del ghetto. A settembre, sia con deportazioni, sia con esecuzioni di massa, il ghetto cambiò aspetto, ma non si trattò di un miglioramento: oltre a poche migliaia di ebrei rimasti, vi furono ammassati lavoratori coatti di varie provenienze in uno spazio che fu ulteriormente ristretto. Ai primi di gennaio del 1943 Heinrich Himmler ordinò la liquidazione totale di quel poco rimasto e ricominciarono le deportazioni. Fu a questo punto che le organizzazioni della resistenza ebraica iniziarono la rivolta. Dopo settimane di continui scontri che avevano logorato gli insorti, ma anche gli assedianti, il 19 aprile i nazisti tentarono di aver ragione definitivamente dell’insurrezione. Accadde però un evento ritenuto fino ad allora impossibile: tremila tedeschi e trecento collaborazionisti polacchi che avevano circondato il ghetto furono respinti da poco più di seicento insorti.
La rivolta disperata del ghetto
Heinrich Himmler – si racconta – ebbe un’esplosione di rabbia e sostituì immediatamente il comandante sul posto con un altro generale delle SS. Jurgen Stroop, che si era ‘specializzato’ nella lotta antipartigiana in Ucraina, iniziò con metodo la distruzione sistematica di tutti gli edifici che potevano offrire riparo agli insorti: dove gli esplosivi non erano sufficienti, fece ricorso ai lanciafiamme. Due settimane dopo, a compimento dell’operazione che aveva provocato quasi cinquantamila vittime in più, fece saltare in aria la Sinagoga Grande di Varsavia e inviò un dettagliato rapporto a Berlino. I tragici dettagli della repressione, assieme a un centinaio di fotografie scattate dalle SS, furono raccolti in un album confezionato appositamente per Heinrich Himmler, ma lo stesso materiale – finito dopo la guerra in mano agli americani – si trasformò in un tremendo capo d’accusa al processo di Norimberga. Stroop, catturato dagli americani, processato e condannato a morte, nel 1947 prima dell’esecuzione fu estradato in Polonia. Condannato a morte da un tribunale polacco fu giustiziato nel 1952...
(RemoContro)
Commenti