Quando eravamo noi a temere la frontiera...


Ricordare quando anche noi eravamo costretti a scappare per la fame in altri luoghi dovrebbe aiutarci a comprendere il dolore dei migranti africani di oggi.


Onofrio Dispenza
Tanti e tanti anni fa. Ero su un treno che portava a Basilea. Nello scompartimento, noi che a Basilea ci andavamo per turismo, e tre giovani che durante il viaggio e all'avvicinarsi della frontiera se ne stavano muti, non si guardavano neanche.

"Questi sono siciliani", mi dissi. Abbiamo addosso un profumo agrodolce, come quello che portiamo a tavola. Si riconosce, lo riconosciamo. Forse anche loro avevano capito, ma non si potevano permettere di sbagliare. Prossimi alla frontiera, faccio: "Siciliani come noi?". Tutti e tre a fare si col viso, scuotendolo dall'alto in basso. E con un sorriso. Uno dei tre parla: "Ti dispiace se prima dei controlli di frontiera diamo i nostri biglietti a voi per far capire che siamo dello stesso gruppo...Turisti...Sai, se ai doganieri i biglietti li da una donna…". E così facciamo. Si passa, e i giovani siciliani ci raccontano, accendendo, finalmente, una sigaretta. Sono di Piana degli Albanesi, sulle montagne che sovrastano Palermo. Che fossero di Piana potevano non dirlo, il loro albanese, misto al siciliano, è musica. Dura, ma musica. Arriviamo a Basilea, non ci lasciano andare: "Stasera siete nostri ospiti, andiamo nel migliore ristorante della città. Il tempo è bello, potremo mangiare pure in terrazza…". Sono inviti che non si possono rifiutare ai siciliani.

E poi, da siciliani. Magari ci rimettono un mese di paga, ma l'invito è felicità. E una felicità non si può negare. Andiamo a cena, solo il tempo di cambiarci, noi in hotel loro non so dove. Lisci e pettinati, e in giacca, lasciano a noi i posti a capo tavola. Mangio capriolo. Sarà la prima e l'ultima volta in vita mia. "Siamo stagionali, carpentieri. Costruiamo bunker antiatomici nelle ville attorno a Basilea. Guadagniamo quel che ci consente di poter campare tutto l'anno, tornati in paese. Lì non ci sarebbe che fare. A fine cena, saluti con abbracci e la promessa di rivedersi. E infatti tornammo a vederci, a Piana degli Albanesi, una domenica d'inverno, col sole. A Piana si va per comprare ed assaggiare i cannoli tra i più buoni che ci siano.

E grandi, una sfida. Uno di loro lo rividi in altre occasioni, era diventato un dirigente politico e sindacale di Piana, paese di grandi tradizioni democratiche legate alla terra. La memoria ha una sua ragione, è saggia, ha un cuore, suggerisce al momento giusto. E' lei che oggi mi offre questo episodio, perchè oggi ha un senso. Ed ha un senso condividerlo...

(Globalist)

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