Otto settembre 1943: la vergogna e la gloria di essere italiani...



Otto settembre 1943. L’Italia è allo stremo. Gli alleati sono in Sicilia. E si apprestano a sbarcare su un “bagnasciuga” della Penisola.

Mussolini è caduto. Doveva essere sostituito da Caviglia, generale che nella grande guerra aveva saputo reggere dignitosamente il campo, ma un colpo di scena mette al vertice Badoglio, uno dei responsabili di Caporetto, trasformato per abili artifici “diplomatici” in vincitore di Vittorio Veneto.

L’esercito comunque non è in grado di reagire. Il “popolo corso alle armi” è confuso. Sparso per il continente. Senza ordini coerenti e univoci in un Comando Supremo dilaniato dalle lotte interne. Insomma, non resta che la resa.

Le trattative segrete per un armistizio tramite la casa reale erano già iniziate nel 1942. Nel caos dell’estate i colloqui si intensificano, diventando anche ufficiali. Gli alleati hanno una sola proposta: resa incondizionata.

Così deve essere e così sarà. D’altra parte lo sbarco nella penisola è pronto, e solo problemi tra occidente e URSS consigliano un accordo con un governo Italiano in vita apparente, piuttosto che la conquista militare diretta.

Così deve essere. E così è. Il 3 settembre a Cassibile, sotto una qualsiasi tenda comando dell’Esercito Americano, viene firmato l’armistizio. Segreto. Nello stesso giorno gli inglesi sono in Calabria.

L’accordo fra le parti è che la comunicazione ufficiale non sarà immediata. Una data non c’è. Chiaramente la scelta del quando promulgare la resa sarà degli alleati e loro “se ne fregano”. Intanto, i tedeschi chiaramente sanno. E premono un Badoglio che dà la “parola d’onore” che nulla è firmato.

Gli italiani chissà perchè si convincono che l’annuncio alleato sarà il 12. Dalla firma regna la confusione di chi dovrebbe impartire ordini ma non lo fa. Si discute, litiga, valuta. In pratica si fa nulla. Il 7 settembre la flotta di sbarco americana decide di partire. Visto che gli Italiani non si decidono, prima bombardano quà e là, provocando inutili vittime, poi fanno loro. E’ la radio di Algeri, per la voce dello stesso Dwight D. Eisenhower, ad annunciare l’armistizio.

A questo punto, anche gli Italiani devono fare qualcosa. Un’ora dopo è Badoglio che lancia il suo proclama.

“Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio…”

A quel punto la confusione regna Sovrana. Tutti. Popolo, esercito, uffici pubblici, delle condizioni sanno quello che ha detto la Radio. Cioè nulla.

    8 settembre 1943. Dal film “Tutti a casa”, uno dei più belli del neorealismo italiano.

La domanda di Sordi in “Tutti a casa” è la domanda del popolo italiano di quelle ore.

“Allora tutto è finito?”. Ma nessun Colonnello dà la risposta. L’esercito, lasciato solo, non sa cosa fare. Qualcuno si arrende. Molti combattono. Per tornare a casa o per l’onore. Chi comanda è a Roma. Proprio mentre reparti Italiani e parti delle popolazione combattono per tenere libera la città, loro una cosa la fanno. Se ne vanno. Non possiamo lasciare in mano ai tedeschi il governo Italiano. Il problema è che Roma, non era tedesca, ancora, ma italiana. Difesa da chi, da solo, aveva scelto di non arrendersi.

La risposta se gli Italiani sappiano combattere o no, la leggi davanti a tutte le loro disfatte. Sì, lo sanno fare, i soldati. Sono gli altri, quelli che comandano, la disgrazia di tutte le Italie Caporette. Non fanno. Si arrendono, e poi scappano.

Cefalonia è solo un nome, un pezzo glorioso che racchiude le mille Cefalonie che l’otto settembre, dimenticate, ci potrebbero rendere orgogliosi di essere italiani.

Otto settembre, però, è anche quella fuga precipitosa. Logica? Utile? Vigliacca?


Fuga. E basta...

(QBN)

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