L’infanzia negata dei bambini vittime di schiavitù e lavoro forzato...



Regina Catambrone
Anwara (nome di fantasia) cammina in bilico sulle scale scivolose con una grossa brocca di acqua in mano, la sua figura esile si perde nella confusione del viavai all'interno dei campi Rohingya in Bangladesh dove è un continuo susseguirsi di attività: c'è chi va a raccogliere l'acqua, chi le razioni di cibo, chi si affretta a recuperare sacchi di sabbia con cui stabilizzare le proprie abitazioni e chi cerca di rimediare ai danni causati dal maltempo.

È scalza come quasi tutti i bambini nei campi e negli insediamenti dove si ammassano i profughi Rohingya che vivono qui da pochi mesi o da generazioni, ma per fortuna -a differenza di molti altri totalmente privi di vestiti- indossa un pantalone colorato.

Raccogliere l'acqua è solo una delle tante mansioni che bambini e ragazzi sono costretti a svolgere per aiutare le proprie famiglie durante le attività quotidiane. A farne le spese la loro infanzia e la loro spensieratezza. Migliaia e migliaia di bambini saranno tali solo anagraficamente, ma non conosceranno mai la felicità e la gioia che accompagna l'infanzia e l'adolescenza. Traumatizzati dalle violenze vissute, condizionati dall'estrema fragilità del contesto in cui vivono dove tutte le energie sono concentrate sulla sopravvivenza, oberati dalle incombenze quotidiane, diventano precocemente adulti.

Altri bambini aiutano una donna ad ammucchiare sacchi di sabbia per proteggere il suo riparo dalle piogge torrenziali che provocano frane e allagamenti che, solo nella settimana fra il 25 e il 31 luglio, hanno colpito quasi 10.000 persone.

Ultimamente, a causa delle piogge monsoniche che hanno creato una vera e propria emergenza, anche la parvenza di normalità che si era instaurata nei mesi precedenti nell'area di Cox's Bazar (Bangladesh) è andata distrutta. Secondo l'ultimo bollettino dell'ISCG, "103 strutture adibite all'istruzione sono state interessate da frane e 58 da inondazioni (...) La chiusura dei vari centri per l'apprendimento ha coinvolto circa 16.500 bambini che sono stati trasferiti ad altre strutture".

A ciò si aggiunge la distruzione di molte abitazioni, lo sfollamento forzato di almeno 4.000 persone e l'incapacità delle strutture sanitarie di far fronte a tutte le emergenze sia perché alcune sono state costrette dal maltempo a interrompere la fornitura di servizi, sia perché questo settore è fra i meno finanziati di tutti. Proprio per questo noi di Moas abbiamo creato un punto di primissimo soccorso in prossimità di un ponte accanto il campo profughi di Shamlapur in modo da ovviare alle difficoltà a raggiungere le strutture sul territorio.


Ma, oltre alla mancata istruzione e alla difficoltà di ricevere cure mediche, un'altra piaga affligge questa perseguitata comunità e i suoi bambini: tratta e lavoro forzato. Più volte ho affrontato questo tema per sensibilizzare su questi due terribili aspetti che si accompagnano oggi alla migrazione forzata a livello mondiale. Quando ascolto le storie di chi vive nei campi bengalesi, mi tornano in mente le testimonianze di chi veniva salvato in mare: disperazione, mancanza di prospettive, conflitti, persecuzioni e povertà estrema in ogni luogo creano terreno fertile per gli abusi.

Fin dagli esordi dell'esodo Rohingya, sono stati sottolineati gli altissimi rischi di tratta di esseri umani, sfruttamento lavorativo o sessuale e riduzione in schiavitù. Timori che sono purtroppo rivelati fondati col passare del tempo, complici anche le disastrose condizioni di vita negli accampamenti informali e negli insediamenti ufficiali dove il sovraffollamento e la scarsità di risorse disponibili complicano anche le più semplici attività quotidiane.

Dati dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) chiariscono che nel 2016 40 milioni di persone a livello mondiale erano vittime di contemporanee forme di schiavitù, mentre il fenomeno del lavoro forzato coinvolgeva 152 milioni di bambini fra i 5 e i 17 anni. Stando alle stime, donne e ragazze sarebbero le prime vittime per un totale di circa 29 milioni colpite dal fenomeno, dato che sale al 99% se si prende in considerazione solo lo sfruttamento sessuale. Anche in riferimento al matrimonio forzato, le donne hanno il triste primato di rappresentare l'84% del totale.

Se, invece, utilizziamo il criterio geografico, è la regione Asia-Pacifico quella col più elevato tasso di schiavitù moderna (62%) che riguarda tutte le forme in cui questa si esprime: sfruttamento sessuale, lavoro coatto per conto delle autorità statali e matrimoni forzati.

Ma al di là delle stime, dei dati e dei numeri , basta parlare con gli abitanti dei campi Rohingya sparsi per il Bangladesh per comprendere la situazione. All'interno dei vari nuclei familiari, bambine e ragazze sono facili prede di trafficanti senza scrupoli e le madri, soprattutto se costrette a prendersi cura da sole della famiglia, considerano la sicurezza personale una priorità assoluta.

Un recente report di Save the Children, partendo proprio dai dati dell'ILO, si concentra sulla situazione in Italia e mette in evidenza fenomeni quali lo sfruttamento sessuale delle ragazze nigeriane, la situazione delle donne rumene e altri temi fra cui i ricatti cui devono sottostare i migranti ai valichi di frontiera per raggiungere la Francia.

Proprio l'anno scorso avevo parlato dell'allarmante percentuale (80%) di ragazze nigeriane che, una volta sbarcate, vengono avviate alla prostituzione e ho spesso raccontato storie di tratta per sensibilizzare su questo tema. Tuttavia, il vero problema -a prescindere dalla parte del mondo e dalla forma specifica di schiavitù- è che queste situazioni si creano perché mancano percorsi alternativi. La criminalità approfitta puntualmente dei vuoti lasciati dalle autorità politiche e dalle organizzazioni internazionali: chi è così disperato da lasciare a qualsiasi costo il luogo dove vive lo farà affidandosi ai trafficanti che lo sfrutteranno e schiavizzeranno a meno che non gli venga offerta una alternativa legale e sicura.

A fronte di una situazione in costante peggioramento, sia per il numero di persone costrette a fuggire, sia per le proporzioni del fenomeno della schiavitù e del lavoro forzato, dobbiamo lavorare urgentemente sulla costruzione di modelli alternativi. Bisogna riflettere tutti -istituzioni politiche, società civile e organizzazioni internazionali- su come sradicare fenomeni odiosi come questi e restituire una dimensione umana alle crisi attualmente in corso prima che intere generazioni di bambini e ragazzi vengano intrappolati fra le maglie del lavoro forzato e della schiavitù, vedendosi negato il diritto ad una infanzia libera e felice...

(Huffpost)

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