Yazidi, il popolo sopravvissuto al genocidio prova a rinascere...






Antonella Napoli
Giornalista e analista di questioni internazionali


Quattro anni fa, il 29 agosto del 2014, due settimane dopo l'assalto di Daesh alla più numerosa comunità di yazidi del mondo (etnia di origine e di lingua curda con religione propria, comunemente indicati come "adoratori del diavolo") veniva rinvenuta la prima fossa comune che rivelò al mondo questo genocidio.

In quella grossa buca furono gettati i cadaveri di alcune delle 3mila vittime dei combattenti del gruppo terroristico islamico che il 3 agosto,nel territorio del Sinjar, Nord Iraq, non solo massacrarono uomini e anziani ma rapirono donne e bambini per ridurli in schiavitù.

Oggi che l'Isis è a un passo dalla sconfitta definitiva, dopo la caduta della sua più importante roccaforte in Siria, Raqqa, e quella irachena, a Mosul, molti degli yazidi fuggiti all'estero stanno rientrando nei luoghi di origine. Come Ashwaq Ta'lo, una giovane donna rapita nel 2014 insieme a quattro sorelle e cinque fratelli nel villaggio di Kacho, nei pressi di Sinjar. Questa diciannovenne viveva in Germania, a Schwäbisch Gmünd vicino a Stoccarda, dove aveva ottenuto l'asilo politico. Quando si è ritrovata faccia a faccia con l'uomo che l'aveva comprata a un'asta per 100 dollari, e tenuta come schiava per oltre tre mesi prima che riuscisse a fuggire, ha capito di non essere al sicuro neanche nel cuore dell'Europa dove aveva trovato rifugio ed è tornata in Iraq. Ma ancora non è al sicuro.

Gli iracheni diffidano della gente della sua etnia. Per lei, come per molti altri yazidi, l'incubo non è dunque finito. Soprattutto per chi è ancora nelle mani dei propri aguzzini. La parte più delicata arriva adesso. Con l'approssimarsi della neutralizzazione di Daesh cosa accadrà agli oltre 3 mila prigionieri?

Secondo un recente rapporto dell'organizzazione non governativa Human rights watch, "i crimini dello Stato islamico contro la minoranza yazida proseguono e restano ampiamente impuniti". Nonostante le forze irachene abbiano strappato al giogo del "califfato" il vasto territorio che controllava, non sono riusciti a liberare tutte le persone ridotte in schiavitù. Inoltre, rileva Hrw, i processi in corso per crimini commessi contro gli yazidi sono destinati a un nulla di fatto, gli imputati sono principalmente accusati di "appartenenza, supporto o assistenza allo Stato islamico". Il rischio, denuncia la Ong, è che le prove del genocidio possano "perdersi, nel tempo nelle fosse comuni che le autorità locali tardano a portare alla luce".

La popolazione yazida, nonostante le ripetute persecuzioni subite in epoca moderna ma anche in passato, è riuscita a mantenere viva la propria etnia nel territorio di Shengal dove è situata anche l'omonima "montagna sacra", nella regione di Sheikhan solcata dal corso del fiume Tigri, che scorre in direzione Nord/Sud Ovest, segnando anche una diversità geomorfologica del paesaggio: da una parte la pianura alluvionale dall'altra le alte montagne che separano l'Iraq dalla Turchia e dall'Iran.
Proprio il leggendario fiume, nelle cui vallate è nata la civiltà occidentale, è stato il fulcro dell'esistenza di questo popolo.

Oggi, nonostante qui abbiano subito esecuzioni di massa e siano stati costretti a sopravvivere oppressi da una crudele sofferenza psicologica permanente, in questo luogo gli yazidi vogliono continuare a esistere.
Anche se niente potrà essere più come prima...

Huffington Post)

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