Le illusioni e i fallimenti delle primavere arabe...



di Nicola Lofoco
In molti l'avevano chiamata la "Jasmine revolution". La "Rivolta dei gelsomini" che esplose in Tunisia, con tutta la sua drammaticità, agli sgoccioli del 2010, quando il giovane Mohamed Buazizi decise di trasformare il suo intero corpo in una torcia umana, per protestare contro il sequestro del suo piccolo carretto, con cui vendeva datteri, mele e arance. Per Moahmed la vendita ambulante di frutta era di vitale importanza. Senza quella attività non poteva, in alcun modo, guadagnare il minino necessario per potersi mantenere, in una nazione considerata tra le più povere dell'intero mondo arabo. Il cuore di Moahmed smise completamente di battere il 4 gennaio 2011, a causa delle ferite che quel fuoco rovente gli aveva provocato in tutto il corpo.

In pochi giorni la sua figura divenne il simbolo della riscossa di tantissimi giovani tunisini, che diedero cosi inizio a una rivoluzione che nel giro di dieci giorni costrinse il dittatore Zine Ben Ali a fuggire in Arabia Saudita. La Tunisia cambiava così volto dopo 24 anni di totalitarismo. Inutile negare che il passaggio a una democrazia compiuta non si è ancora pienamente concretizzato, dato che da allora l'intero paese è stato spesso in balia del fondamentalismo islamico e dei suoi attentati terroristici.

In ogni caso, seppure tra tante difficoltà, in Tunisia vi sono oggi libere elezioni e l'attuale presidente, Beji Caid Essebsi, non ha mancato di sottolineare i preziosi rapporti diplomatici che Tunisia mantiene e dovrà mantenere con tutta l'Europa. I tunisini sono stati quindi, a tutti gli effetti, gli unici che sono riusciti a incamminarsi sul sentiero dei valori democratici, cosa che non è affatto successo in tutte le altre nazioni coinvolte in quella che venne da più parti definita la "Primavera araba" del 2011. L'effetto delle rivoluzioni, oltre i confini della Tunisia, non ha portato a nulla di buono, e dell'agognata democrazia ne è rimasta solo un irraggiungibile visione onirica. Vale la pena analizzare cosa è davvero successo, guardando alla situazione attuale in queste terre, una per una:

Egitto: Subito dopo gli scontri di Piazza Tahir al Cairo, risalenti al febbraio 2011, il presidente Hosni Mubarak venne costretto a proclamare le sue dimissioni. Dopo la breve parentesi di governo dei Fratelli Musulmani con Mohamed Morsi (giugno 2012-luglio 2013) il paese è ripiombato nelle paludi di una dittatura militare, quella del generale Abdel Fattah al-Sisi. In una nazione che dopo il lontano esilio del re Farouk, avvenuto nel 1952, è stata sempre in preda a dei regimi militari, la piena restaurazione è stata realizzata. I sogni di un Egitto finalmente libero sono stati completamente infranti.

Libia: Il barbaro omicidio del tiranno Muammar Gheddafi, risalente al 20 ottobre 2011, non poteva di certo far presagire nulla di buono. Se l'alba della nuova Libia era rappresentata dalle orrende immagini della sua esecuzione, di sicuro per la Libia non vi sarebbe stata alcuna "primavera di democrazia". Dopo sette anni da quei tragici eventi, frutto di una guerra civile imbevuta di ingerenze straniere (Francia in testa) la Libia è ancora divisa e in cerca di una sua identità nazionale che, forse, non ha mai avuto. In questo arco di tempo sono state all'ordine del giorno le rese dei conti tra le tante tribù locali e gli attacchi, sempre più forti e frequenti, da parte di vari gruppi legati al radicalismo islamico. Il governo di Tripoli, presieduto da al-Serraj, non controlla affatto tutto il territorio. Da poco si accordato con il filo-egiziano Aftar, che è invece insediato nella zona di Bengasi, per condurre il paese a libere elezioni a fine anno, ma non sappiamo come andrà davvero a finire. Il futuro è ancora oscuro e pieno di punti interrogativi. Sino a ora di una democrazia compiuta non si è vista neanche l'ombra.

Yemen: Il dittatore  Ali Abdullah Saleh è stato assassinato il 4 dicembre scorso. Tutto lo Yemen, sin dal 2011, è stato messo a ferro e fuoco dalle milizie filo-saudite che combattono contro quelle filo-iraniane degli Houthi. Chi raccontava di una primavera araba che coinvolgeva anche Saleh ha dovuto fare i conti con la realtà, in quanto tutta la terra yemenita è diventata un feroce campo di battaglia tra sunniti e sciiti. Una guerra sanguinosa e sanguinaria, di cui si parla poco e si racconta poco.

Bahrein: Le sirene della primavera araba erano risuonate anche nel piccola ex-colonia britannica del Bahrein. Il 14 febbraio 2011 esplose la protesta di "San Valentino", mossa in gran parte dalla maggioranza sciita, contro la monarchia del re Khalifa, sunnita e appoggiato dall'Arabia Saudita, che intervenne militarmente per proteggerlo. A oggi il Bahrein è solo braccato dalle interferenze internazionali di Riad e Teheran. Nulla più.

Siria: Il disastro per eccellenza. La Siria, negli ultimi sette anni è stata letteralmente distrutta. Il suo immenso patrimonio storico e culturale è stato in gran parte annientato, mentre le vittime civili, secondo l'inviato della Nazioni Unite De Mistura,  erano sino a due anni fa oltre 400.000. Gli sfollati, nel complesso, undici milioni. Le proteste, contro il regime di Assad, iniziarono nel marzo 2011 nel distretto di Daraa. Si trattava di un evento fisiologico, dopo 40 anni di dittatura di Hafiz Assad prima e di suo figlio, Bashar, poi. Ma quelle proteste, ben presto, sono state strumentalizzate da pesanti intromissioni straniere, che hanno imbotto il suolo siriano di foreign fighters e creato, in alcune zone, una voragine di potere: è stata la manna caduta dal cielo per i radicalisti islamici (Isis in testa). In poco tempo, quelle rivolte si sono trasformate in una delle peggiori guerre civili della storia. L'Esercito siriano libero, inizialmente composto da disertori dell'esercito nazionale, è stato nel tempo scomposto in varie brigate finanziate e appoggiate da vari stati esteri (Usa, Turchia, Arabia Saudita, Qatar). Assad, invece, ha potuto contare sui suoi alleati, Iran e Russia, il cui apporto è stato determinante per la sua salvezza. Il cinquataduenne Bashar è ancora a Damasco, e con il passare dei giorni sta riconquistando tutto il territorio. Chi è sopravvissuto non potrà mai dimenticare il bagno di sangue che ha avvolto tutta la Siria in questo drammatico periodo.

Come abbiamo visto, il 2011 è stato solo un grande abbaglio illusorio per quasi tutto i paesi arabi. A eccezione della Tunisia, in tutte le altre nazioni non vi sono state le tanto attese riforme democratiche. Anzi, alcune sono andate incontro alla disgregazione più totale, come la Libia e la Siria, due paesi in cui l'ingerenza politica e militare del miope Occidente è stata catastrofica. A 7 anni di distanza dalle tante speranze di libertà che avevano prodotto le primavere arabe ci restano solo un cumulo di fallimenti e sciagure. Con tante vittime innocenti che, forse, non ricorderemo mai...

(Huffpost)

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