Maledetti voi bulli del web, che seviziate le vostre vittime anche dopo morte...
Beatrice Inguì è stata vittima di quei bulli che le ricordavano che il suo corpo a loro non piaceva, non era adeguato, accettabile, gradevole, godibile, desiderabile, normale.
Irene Gianeselli
Beatrice Inguì è stata suicidata. È di qualche ora la notizia che le telecamere della Stazione di Porta Susa di Torino l’hanno ripresa indietreggiare, quasi saltare sui binari quando ha sentito il treno arrivare. Ho scritto è stata suicidata, ma non è una svista grammaticale.
A quindici anni cosa si rifiuta di più al mondo? La solitudine.
Beatrice era evidentemente sola nonostante la passione per la musica, nonostante il desiderio di studiare, nonostante la forza con cui stava scegliendo chi essere e diventare. Era sola perché c’erano suoi coetanei che le ricordavano che il suo corpo a loro non piaceva, non era adeguato, accettabile, gradevole, godibile, desiderabile, normale. Lei era una “diversa”: non era una lolita di quelle che ammiccano da Instagram con tutta la volgarità ben nota di certe adolescenti di oggi che tanto sono gradite agli utenti e incoraggiate dal sistema di bot. Ridevano di lei che era grassa, magari ghignavano al suo passaggio indicandola tra loro con un cenno del capo. Ridevano.
Beatrice potrebbe essersi sottratta solo a questo o ad atti di bullismo ancora più gravi che al momento non conosciamo, ma rimane che un’offesa è un’offesa e che una risata vessatoria è sempre un atto di violenza.
I suoi coetanei ridevano di lei come gli imbecilli, i porci schifosi (mi perdoneranno le povere bestie) che in queste ore hanno continuato a seviziarla nascosti dietro uno schermo. Perché il web rigurgita di frasette pseudo sarcastiche, pseudo ironiche a commento del suicidio e della tristezza con cui Beatrice scriveva segretamente nel proprio diario che era troppo grassa. Penso sia giunto il momento di dirvelo, porci: siete schifosi, siete disumani voi che osate profanare il corpo e l’anima di una ragazzina che ha scelto di morire per sottrarsi al gioco massacrante di qualche coetaneo viziato e arrogante, stupido, vuoto e meschino. È il caso che si cominci a prendere il male che siete e rappresentate e mostrarvi per ciò che siete: animali violenti e feroci e non avete nessuna giustificazione. Il web è solo un alibi, è solo la piazza pubblica dove vi date appuntamento: ma pensate che per ogni vostro commento sul corpo di quella ragazzina esposto alla vostra crudeltà è comparso un taglio, un segno che sanguina e quel sangue vi macchia e la macchia rimane indelebile.
Hanno scritto alcuni che Beatrice era un’anima fragile. Io dico che le anime fragili sono quelle dei coetanei che l’hanno offesa, di quelle ragazze, ragazzi, donne, uomini che osano continuare ad offenderla sui social nei loro gruppi segreti dai nomi inquietanti, testimonianza del becero qualunquismo italiota. Perché siamo il popolo che lascia fare e si volta dall’altra parte quando chi è gentile e grazioso pare più indifeso e sacrificabile. Per ridere, no?
Lo scrivo per te, vittima di bullismo che magari mi stai leggendo e ti senti dire che sei fragile e inadeguato e vorresti morire perché ti convincono che non sei all’altezza. Tu non hai proprio niente che non vada, nessuno deve permettersi di offendere ciò che sei. Guardali nella loro pochezza, questi stronzetti che di te ridono colpendoti nel corpo e nell’anima, le due cose più sacre che devono essere tue e basta: sono loro, i bulli, i leoni da tastiera le anime fragili, infelici, crudeli e meschine, senza speranza. Sono loro che non sono altro che una massa di assassini e seviziatori. Tu, caro o cara, tu per sottrarti non devi morire, ma mi rendo conto scrivendo che tu, caro o cara, tu devi essere difeso: da chi ha un potere istituzionale, dalla cultura, dalla famiglia e dalla scuola ma vedo che siamo bel lontani dal saperti al sicuro.
Perdonali Beatrice e perdonali tu che mi leggi e soffri da solo o da sola, perché i bulli sanno quello che fanno, ma questa società non li ferma, anzi, li fomenta. E li giustifica e li assolve...
(Globalist)
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